Il mestiere di Pagliaccio

Mentre lavoravo mi guardavo intorno con i miei occhietti furbi e studiavo i trucchi dei pagliacci:

di Camomilla che quando sorrideva si si faceva sprizzare l’acqua dalla testa, di Tulipano che muovendo il dito grosso del piede sinistro faceva roteare le orecchie, di Padellino che suonava la marcia dei bersaglieri percuotendosi i denti con un bastoncino, e di tutti gli altri.

: il mestiere di Pagliaccio


Sognavo il giorno in cui avrei calcato anch’io la segatura della pista e sarei diventato il pagliaccio beniamino del distinto pubblico.

     



Patroclo, il domatore, mi dava lezioni di coraggio, perchè un bravo pagliaccio deve saper entrare anche nella gabbia dei leoni e mi faceva coniugare per ore ed ore il verbo non aver paura:

io non ho paura

tu non hai paura

egli non ha paura

…………..


In più Patroclo, quando qualche leone aveva mal di pancia e doveva stare a verdure, mi passava di nascosto la razione di carne destinata al leone, che è carne di pessima qualità, ma se è cotta bene nessuno se ne accorge, purchè sia di bocca buona.



Un giorno arrivò nel Circo Girotondo una nuova artista, una cavallerizza.

Arrivò dall’America in groppa al suo cavallo arabo Alkermes e fin dalla prima sera fece andare in delirio il pubblico.

Sulla groppa di Alkermes pareva una farfalla con la sua vestina piena di brillanti, topazi e rubini.

Aveva dei capelli così morbidi e leggeri che, mentre il cavallo galoppava, le restvano sospesi attorno alla testa come un’aureola.


Io, nascosto dietro le zampe di un elefante, la guardavo e avevo paura che lei mi vedesse perchè ero vestito male, da pagliaccio povero che non ha ancora ricevuto neppure un applauso.


Terminato lo spettacolo, spente le luci del circo, quando sentii che russavano anche i cammelli, che sono gli ultimi ad addormentarsi perchè alla sera sono tormentati dal ricordo della sete patita nel deserto, io, zitto zitto, mi avvicinai al cavallo Alkermes e gli tirai delicatamente la lunga coda. 


– Che c’è? – disse Alkermes, un pò scocciato, e io capii subito che non era arabo e glielo dissi, con molta sincerità.


Alkermes mi confessò infatti che era nato a Pinerolo, che suo padre era stato nell’esercito, ma che lui doveva fingersi arabo per poter lavorare.


Mi scongiurò di non rivelare a nessuno il suo segreto ed io promisi a patto che mi raccontasse tutto quello che sapeva della cavallerizza bionda arrivata dall’America.

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