Mamma Bradipa tenera

I PregiuVizi

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PregiuVizi

Nonostante i tempi del “lascialo piangere che si fa i polmoni” siano passati, ancora troppo spesso si sente scambiare i bisogni dei neonati per vizi. Ed infatti, se fino a che non nasce un bebè vizi e bisogni vengano considerati due concetti diametralmente opposti, quando la mamma non ha ancora cambiato espressione tra la smorfia di dolore dell’ultima spinta e il sorriso commosso della felicità del primo abbraccio con suo figlio, comincia a ricevere informazioni contrastanti che a mio avviso possono essere definite come  PregiuVizi. Dati da chi non conosce né il significato della parola vizio, né le competenze di un neonato.

Perché se si dà una rapida occhiata sul dizionario, ci accorgiamo subito di come tra di loro vi sia una grande e sostanziale differenza:

I bisogni, sono la mancanza di qualcosa di indispensabile.
I vizi invece, sono abitudini radicate che provocano nell’individuo bisogni morbosi di qualcosa per lui nocivo.

Tra i bisogni, troviamo la fame, il sonno, il contatto, il contenimento;

Quali sono invece i vizi di un neonato? Ve ne viene in mente nessuno? Un bel sigaro cubano tra le dita di un bebè? Un ritrovo tra poppanti sorseggiando whisky? Una bisca clandestina under 1?

No vero? Scherzi a parte, non riuscite a trovare vizi da neonati semplicemente perché le strutture cerebrali di un bambino piccolo non sono in grado di mettere in atto un comportamento così complesso.

Noi adulti siamo biologicamente programmati per accorrere al pianto del neonato che è per questo particolarmente acuto e fastidioso, ed è anche l’unico modo che i neonati possono utilizzare per  comunicare un bisogno.

Spesso invece le neo mamme sentono un’incredibile ansia da prestazione mentre ascoltano gli ammonimenti di chi dice loro “guarda che se lo tieni sempre in braccio poi non si abituerà mai a stare da solo”, “Se accorri ogni volta che piange, ti terrà in pugno”, “Se lo allatti troppo spesso diventerai il suo ciuccio”. Vivono nell’ansia che se lo coccoleranno un po’ troppo, saranno per sempre sue schiave. 

In realtà è l’esatto contrario: ascoltare e soddisfare i bisogni dei neonati li renderà più sereni, più tranquilli e più sicuri.

Con i bambini è fondamentale considerare lo scorrere del tempo: il neonato ha bisogno di certe cose, mano mano che crescerà di altre. Non facciamo il suo bene se “lo abituiamo” a qualcosa che verrebbe spontaneamente più tardi. Anzi lo ritardiamo perché non ascoltando il bisogno di contatto e contenimento lo renderemo un bambino meno sicuro.

Pensateci:
Perché nessuno si stupisce se a 6 anni un bimbo va in prima elementare e non in quinta?

Perché nessuno compra ai propri figli scarpe più grandi di 5 numeri?

Perché ad un mese non diamo da mangiare ad un neonato il cinghiale in umido con i porcini fritti?

Perché “Ogni cosa a suo tempo”!!!

Quando cresceranno infatti, sarà nuovamente la natura a venirci incontro, dando ai bambini il bisogno di esplorare e conoscere e smetteranno di voler stare sempre in braccio, ma se avremo sempre accolto i loro bisogni, avranno la sicurezza che potranno sempre tornarci.

 

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Perchè festeggiare “l’ultimo giorno di scuola”

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10 giugno

L’ anno scorso, di questi tempi nella chat di classe si parlava di chi portasse cosa per la merenda dell’ultimo giorno di scuola, di come facesse caldo con il grembiule con il sole che batteva sulle aule e non si vedeva l’ora di lavare lo zaino, ridotto ormai ad una massa informe dall’odore di libri, succo e inchiostro.

Quest’anno no. Quest’anno nella chat di classe si parla degli allegati che non si scaricano, delle schede a risoluzione troppo bassa, della foto di classe a distanza, del prossimo appuntamento su meet.

Niente grembiuli.

Niente zaini.

Non se ne parla dal 5 marzo.

Ricordo ancora che il 4, era mercoledì. Le maestre hanno dato i compiti per l’indomani e hanno sistemato l’aula per l’attività a gruppi del giovedì.

Noi genitori ci siamo allontanati con un semplice “buon appetito,  a domani!” e Giacomo salendo in macchina mi ha detto “Mamma sono stanchissimo per fortuna manca solo giovedì e venerdì e poi due giorni di pausa.”

E invece “la pausa”  sarebbe iniziata subito e per 10 giorni. E poi per altri 15 e altri 15 e poi nessuno ha più creduto che si riniziasse prima di settembre.

Così quando dico che il 10 giugno festeggerò, in molti mi guardano ruotando la testa come un cucciolo che sente un rumore strano.

Perché festeggiare??? Perché ce lo meritiamo!

Ce lo meritiamo tanto cacchio.

Se lo meritano i BAMBINI. Cui d’improvviso, dentro ad una bella scatola, abbiamo messo loro la scuola, i parchi gioco, gli amici, i nonni, i giocattolai, le feste, i compleanni e ci abbiamo scritto “NON APRIRE FINO A BO”. Ma abbiamo chiesto loro di essere sereni e tranquilli,  di accontentarsi dei nonni in videochiamata ad 1 anno, di vedere i compagni d’asilo sul tablet, di studiare, di impegnarsi, di perdere la relazione con gli insegnanti e cercare di stabilirla con uno schermo. Si sono arrabbiati, rattristati, a volte arresi ma poi ripartiti, innervositi, arrabbiati di nuovo, ma poi ce l’hanno fatta.

Ce lo meritiamo noi GENITORI. Che da quando i nostri figli sono nati ci dicono che si può spiegare loro tutto – in modo adatto all’età- ma questa volta ci siamo trovati invischiati tra un batterietto birboncello che ci fa starnutire nel gomito detto ai più piccoli e la paralizzante incapacità di dare risposte certe ai più grandicelli. Ce lo meritiamo perché abbiamo affrontato l’angoscia per il nostro futuro, per la salute dei nostri cari, per le esperienze negate ai nostri bambini. Il tutto condito dall’esilarante esperienza dello smart working con 1/2/3…figli a casa e  dalla snervante/logorante/ossessionante didattica a distanza. Ma ce l’abbiamo fatta.

Se lo meritano gli INSEGNANTI che in un pugno di giorni si sono dovuti far amica la guest star di questo periodo: la DAD. Che fino a poco fa pensavo volesse solo dire papà in inglese. Forse lo credevano anche maestre e professori, ma hanno subito capito cosa invece significasse e si sono dovuti reinventare un modo di lavorare senza la possibilità di fare ciò che hanno sempre fatto: parlare, insegnare, spiegare, ridere, giocare, richiamare, lodare, coccolare i loro studenti. Senza poter accedere alla loro “materia prima”, come se ad un cuoco si chiedesse di preparare delle ottime pietanze senza ingredienti. Ma ce l’hanno fatta.

Non ci sarà nessun VERO ultimo giorno di scuola, ma potremo comunque festeggiare la FINE di questo assurdo e sconvolgente periodo, per goderci ancora di più gli anni scolastici che seguiranno.

Perché se si dice che una cosa la si apprezza solo quando si perde, la scuola quest’anno l’abbiamo PERSA, ma siamo fortunati perché presto potremo RITROVARLA.

P.s. Se avete voglia di festeggiare con una risata, vi metto qui sotto il link del video di “E penso a te” di Battisti, rivisitata con Classroom 🙂

https://youtu.be/ai7vILaO9Fs

 

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Febbraio: fine primo quadrimestre

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Siamo al cinema, la luce si accende e gli occhi si strizzano per abituarsi al passaggio dal buio. Guardiamo chi abbiamo di fianco ed esprimiamo un’opinione. Non fate anche voi così? Tipo:

“Un po’ lentino eh?”

“Uh che attori bravissimi, vero?”

” Ma quel tizio vestito di nero che appare subito all’inizio chi è?”

“Cavolo però questo primo tempo è volato!”

Apro gli occhi. Non sono al cinema, ma sul divano, crollata addormentata.

L’orologio segna le 0.22 quindi siamo ufficialmente a febbraio. E mai come quest’anno, mi accorgo che siamo a metà anno scolastico, alla fine del primo quadrimestre e come per un film a fine primo tempo, mi trovo a tirare le somme ed a pensare a come anche io, abbia affrontato tanti piccoli e grandi cambiamenti.

Perché non vi dimenticate chi sono io.

Quella pigra, abitudinaria, tenerona, freddolosa, estatiana, pigra…ah, già detto…vabbè così per chiarire il concetto. Quella che ha passato un’estate paradisiaca tra ritmi lenti e bagni in mare, e che da parecchio tempo, il pensiero di avere la giornata scandita dagli orari e dai malanni in arrivo, le ha scatenato ansia a tutto spiano.

Eppure ce l’ho fatta! Ho superato l’inserimento! Elementari ed asilo in un colpo solo… Taaaac!

Ho superato le iscrizioni. Due, ma diverse.

Il materiale doppio, ma diverso.

I grembiuli doppi, ma diversi.

I primi giorni doppi, ma diversi.

Ho superato l’idea di salutare un paffuto bimbo dai quadretti bianchi e azzurri, e sostituirlo con uno spilunghino vestito di blu;

Ho superato la solitudine di non chiacchierare con la piccola di casa, permessa dal fatto che quando torna a casa recupera il tempo perso con gli interessi;

Ho superato la morsa allo stomaco nel vedere i loro pigiami abbandonati sul letto, delle voci che mancano, delle telefonate non interrotte.

Ho superato i compiti!!!!! O meglio, ho superato l’incontenibile voglia di dire “sai che si fa oggi i compiti non si fanno e si gioca tutto il giornooo!!!!!!”, ma solo perché il seienne è talmente giudizioso e ligio, che mi fa sentire in colpa anche per averlo solo pensato;

Ho superato le crisi dei primi giorni di asilo, anche se l’esperienza mi ha permesso di non stare in macchina a piangere, ma di andare a casa a sfondarmi di gocciole…quindi più brufoli, ma meno occhiaie.

Ho superato l’idea di affidarei niei bimbi a qualcuno, ma solo perché la loro serenità me ne ha fornito il coraggio.

Ho superato l’idea che a settembre sarei impazzita e abbracciato quella che quasi quasi me la cavo.

Ho superato il primo quadrimestre.

L’ABBIAMO superato.

Si accende la luce, strizzo gli occhi per abituarli al passaggio dal buio. È mattina. Metto sul fuoco la macchinetta dal caffè. Giro il calendario: è il primo febbraio.

E noi ce la metteremo tutta anche nel nostro secondo tempo.

P.s. le sveglie all’alba quelle no, non le supereró mai!

 

 

 

 

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Raccolta firme di protesta per i regali di Natale

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Cari genitori di bambini dai 3 anni in su,

oggi mi rivolgo a voi. A voi che avete trascorso il pomeriggio del 25 e del 26 a montare i giochi che Babbo Natale ha portato ai vostri figli.

Lo so che avete affrontato tre fasi:

  • la gioia nel vedere la felicità dei propri bambini e la totale ignoranza di ciò che vi aspetta;
  • la tensione sempre più consistente e insistente, mentre vi rendete conto dell’effettiva complessità del montaggio accompagnata dal logorante dubbio di riuscire a farcela;
  • l’incazzatura/rompimento di palle intergalattico, puntualizzato da imprecazioni che cancellano qualsiasi sacralità natalizia.

Quindi so che  sarete d’accordo con me nel fare una raccolta di firme per protestare circa la chiarezza delle istruzioni dei giochi, la difficoltà di montaggio, l’odiosità degli adesivi, la megagalatticità dei playset e l’impalpabilità degli accessori.

  1. La chiarezza delle istruzioni. Oggigiorno, con l’avvento della tecnologia intuitiva, anche le istruzioni non sono volute rimanere indietro ed hanno abbandonato la banalità delle parole. Perciò sono costituite dalle illustrazioni delle parti del gioco da montare, spesso in bianco e nero così da rendere piena di suspance l’intera avventura, la sequenza di montaggio indicata da numeri giganti, qualche freccia tirata qua e là e ciao. Montalo.
  2. La difficoltà di montaggio. Cari produttori di giocattoli, accanto agli anni che indicano l’età indicata per il gioco, siete pregati di indicare anche quelli che ne servono di formazione ingegneristica, elettronica, meccanica e via dicendo, per riuscire a montarli.Perché già uno si è svegliato alle 6 del mattino a causa dell’entusiasmo dei figli, già si è scofanato chili di cibo, già ha un mal di testa abissale – non ci vogliamo mica mettere il pianto di Gennarino perché papà non riesce a montare i 546389 pezzi del gioco???
  3. Gli adesivi. Gli addetti alla produzione degli adesivi dei giocattoli, devono essere persone che hanno sofferto da piccoli e che per questo odiano il prossimo. Perché altrimenti non si spiega come mai ogni volta c’è un lembo non pretagliato che ti rende lo “spiccicamento” arduissimo, poi se un micro lembo si appiccica erroneamente, rimane attaccato come se tu li avessi saldati con la super saldatrice saldantissima, poi quando finalmente li tieni saldi tra i polpastrelli, scopri che vanno messi nelle posizioni più assurde, roba che bisognerebbe avere le manine di un bambino di un anno con la manualità di un prestigiatore. Ah e se non bastasse, anche per scoprire dove vanno attaccati, c’è da divertirsi:con i mitici numerini microscopici. Ammettiamo che la mela sia indicata col numero 34, poi tu devi trovare il 34 nella famosa fotocopia delle istruzioni che ti dovrebbe far capire il posto nel giocattolo. Peccato che dopo 9 o 10 volte che hai accoppiato i numeri, sei talmente rintronato che te li mangi e fingi che la confezione sia difettata.
  4. La megagalatticità dei playset. Quando ho saputo di aspettare un maschietto, la mia mente è volata subito a pensare alla mastodonticità di certi giochi, alla complessità di certe combinazioni, ed ero gasatissima. Poi ho dovuto scontrarmi con l’impenetrabilità della materia. Con la possibilità di dover mettere una libreria sul balcone per far spazio a MEGA SUPER FIGO GALATTICO XXXXXXL COSMIC PLAYSET.
  5. L’impalpabilità degli accessori.Quando ho saputo di aspettare una bambina, la mia mente è volata subito a pensare ai bellissimi e deliziosissimi giochi di bambole e bamboline. Poi mi sono imbattuta negli accessori. E non biberon e pettinini, no. Aggeggini minuscoli che si confondono con le briciole, che finiscono nei commenti delle mattonelle e che si mimetizzano così bene, che tu camaleonte scansate proprio. Quelli che suscitano crisi interminabili se non si trova la fibbia della cintura di Asdrubalina o la scarpa di Ughetto.

Siete d’accordo? ho dimenticato qualcosa? Casomai scrivetemi che la raccolta firme poi, vorrei mandarla a Babbo Natale per fargli capire che qualcosa non quadra. Perché ci ho riflettuto bene, gli elfi mica son capaci di costruire quelle robe lì, ci scommetto!

Quindi da dove vengono tutti i giochi?

Dobbiamo avvertirlo che qualcuno sta cercando di rubargli il lavoro!!!

Siete con me?!?!?!?!?!?!?!?!?!

P.s. Da questa descrizione è esclusa la famosissima marca di costruzioni che è così chiara da riuscire pure a me!

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Il Natale a scuola con un figlio e con due figli

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Buongiorno mamme!

Come sono i vostri rapporti con la scuola nel periodo natalizio? Pieni di entusiasmo o pieni di stress? E soprattutto: siete coinvolte con un bimbo o con due?                        Perché le cose cambiano….

LA RIUNIONE A SCUOLA

Figlio unico:                                              Quando alla riunione di settembre, le maestre annunciano lo spettacolino di Natale, sul tuo viso ancora abbronzato, si forma un leggero sorriso misto di orgoglio e curiosità.

Due figli:                                                    Quando alla riunione di settembre, le maestre annunciano lo spettacolino di Natale, sul tuo viso ancora abbronzato, si forma una leggera smorfia mista di “speriamo che i due spettacolini non siano lo stesso giorno alla stessa ora ” e “stavolta mi metto in prima fila cascasse il mondo”. Oppure sei alla riunione dell’ altro figlio e quando tutto verrà scritto sul resoconto della rappresentante nella chat di classe, sarà ormai tarda sera, starai dormendo sul divano a bocca aperta e con sottofondo una puntata dei Robinson. La mattina troverai 98 notifiche di “grazie, gentilissima!”, “Ma si sa già la data?”, “quanto durera?” – e tu non capirai assolutamente nulla.

I VESTITI PER LO SPETTACOLINO

Verso metà novembre, le maestre annunciano i vestiti da indossare per lo spettacolino. Solitamente una maglia rossa o bianca e dei jeans…

Figlio unico:                                              Cavolo i jeans li ha celesti e blu, serviranno mica azzurri classici? Ma sì, gliene compro un altro paio.                                            Maglia? Non ha nessuna delle due! Compriamole entrambe che poi magari una non gli dona, oppure la bruci a stirarla, oppure qualcuno non ce l’ha e gliela presti, oppure…insomma ne compri due.

Due figli:                                                           Nel tuo cervello, non appena in un negozio compare la scritta “collezione autunno- inverno”,  si innesca il riflesso Pavloviano che ti fa comprare in automatico una maglia rossa e una bianca ciascuno. Quella bianca non devi usarla MAI perchè sennò a dicembre è grigina schifosina. I jeans vanno bene di qualsiasi nuance di blu. Han detto jeans, non hanno dato la palette con il numero della tonalità.

IL CALENDARIO

Figlio unico:                                                        A dicembre, ti diletti a scrivere con le penne colorate gli impegni scolastici dell’unicogenito…azzardi anche il disegno di una nota musicale nel giorno delle canzoni, forbici e colla per il laboratorio, fuochi d’artificio per l’ultimo giorno di scuola.

Due figli:                                                               Il mese di dicembre sembra uno di quei giochini enigmistici in cui un simpatico gattino deve capire quale filo arrivi al suo gomitolo: un casino di frecce, scritte piccolissime, sigle azzardate. Trovi per esempio MSC e per un secondo pensi che stai per partire per una crociera, ripiombando poco dopo nella consapevolezza del vero significato:  Mercatino Scuola Cesare.

IL MERCATINO

Figlio unico:                                          Preparare qualcosa che sarà venduto, ti mette un’ansia sovrumana. Ci vorrà qualcosa di natalizio o che va bene tutto l’anno? Qualcosa da mangiare o no? Lo compro o lo creo? Arrivi con super stress a dicembre e ti ritrovi a portare un poutpourri creato da te che profuma di gelsomino e colla vinilica.

Due figli:                                                         Cioè doppio lavoro. Doppio tempo da investire. Doppio investimento economico. Quindi da luglio, cominci a conservare tutto il conservabile, rischiando di tenere anche i coperchi degli yogurt perché in effetti è un alluminio tondo e di un bello spessore, ma la muffa che trovi dopo una settimana ti fa desistere. Tutto per proporre il meravigliosissimo riciclo creativo, altrimenti detto “che acciderbolina ci potrei fare con sta roba?”

 

L’ANSIA

Figlio unico:                                              Dunque quella per il mercatino l”abbiamo detta. Poi c’è quella che non suoni la sveglia il giorno dello spettacolino, che un meteorite ti impedisca di raggiungere la scuola, che il bimbo pianga, che TU pianga o che tu NON pianga.

Due figli:                                                          Con il secondo figlio si ha meno ansia. Tranne che a Natale. A Natale raddoppia. La sveglia è ancora prima e quindi oltre a non suonare, potresti spegnerla e riaddormentarti senza nemmeno accorgertene. Doppi viaggi a scuola, doppia possibilità di meteorite. Le canzoni del grande sono ad un orario, le canzoni del piccolo ad un altro. Ma almeno sul pianto, puoi star tranquilla per il grande! Ennò perché la giornata storta ci sta per tutti e finché non ha finito, non sei tranquilla. E ti senti schizofrenica mentre guardi con orgoglio il tuo bimbo grande che calca le scene con la naturalezza di un attore navigato e la tenerezza struggente mentre osservi  il piccolo incerto e intimorito alla sua prima esperienza.

 

In ogni caso, tra un lavoretto, una corsa, una lacrima e una sudata, anche quest’anno arriverà la sera dello spettacolino fatto, dei lavoretti per il mercatino consegnati e del cellulare pieno zeppo di bellissimi DOPPI ricordi…

Buon Natale a tutti!

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Da 4 a 2.

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da 4 a 2

Ed ecco un bel post nostalgia!

Primi freddi, vento gelido, festività alle porte… è quasi d’obbligo.

Ed allora ecco qua…
…Ho trascorso gli ultimi sette anni circa, a cercare di trovare un equilibrio mentale che garantisse un equilibrio familiare che andava ritrovato ad ogni fase di crescita dei bambini.

Io, abitudinaria e programmatrice, da sempre vivo i cambiamenti come un eremita vivrebbe il giorno di ferragosto se fosse portato su una spiaggia turistica nell’orario di punta: mi viene l’orticaria e qualche tic.

Divento come il banco a sette e mezzo che sballa;

Il programma di un pc che crasha;

Un chicco di mais che diventa pop corn.

Dopo il turbinio tra matrimonio, nascita di Giacomo e nascita di Aurora, da un annetto a questa parte,  ho trovato una nuova estasi poiché anche la piccoletta, duenne, ha cominciato a rendere possibile riappropriarmi di alcune attività che avevo lasciato da parte.

Ah la routine, i ritmi organizzati e sempre uguali….per molti una palla, per me la pace.

E invece l’altra sera, nuovo assestamento.

Eravamo a casa di amici. Quelli che ti porta il destino. Io e la mia amica ci siamo conosciute al corso preparto, abbiamo fatto il monitoraggio nella stessa stanza, i nostri mariti hanno fatto amicizia in sala d’attesa ed abbiamo partorito ad un giorno di distanza ritrovandoci in ospedale insieme.

Ci vediamo ogni tanto perché abbiamo abitudini diversissime e quindi quando lo facciamo, non possiamo fare a meno di notare il passare del tempo.

Quando i bimbi avevano un anno, eravamo tutti e sei seduti in terra, i nostri discorsi erano vocine e vocette dei pupazzi che muovevamo per farli divertire. Andavamo via e nessuno aveva raccontato niente di nuovo all’altro.

Quando i bimbi avevano due anni, non riuscivamo a stare in più di tre contemporaneamente in una stanza. Non parlavamo proprio e inseguivamo i teneri virgulti.

A tre, gli ometti hanno cominciato a giocare tranquilli, ma io allattavo/cambiavo/addormentavo Aurora.

A quattro, i bimbi giocavano tranquilli, ma metà di noi faceva vocine ad Aurora.

A cinque, i bimbi giocavano tranquilli, ma metà di noi inseguiva Aurora.

A sei, cioè l’altra sera, eravamo di nuovo seduti; non in terra, ma comodi sulle sedie davanti al camino. E solo noi 4 genitori. I bimbi erano in salotto a giocare tranquilli.

ImprovvisamenteDopoSeiAnni, era come se fosse una serata prefigli. Come se da 4 fossimo tornati 2. E per quanto fossi strafelice di aver star chiacchierando più che in tutti i nostri precedenti incontri messi insieme, un velo di paura di essere diventata inutile era presente nei miei occhi.

La mia mente non era preoccupata del fatto che potessero farsi male.
I miei occhi non cercavano continuamente la porta della stanza in cui giocavano.
Le mie mani non stringevano nulla.
La mia bocca non pronunciava continuamente i loro nomi.E a fine serata non ero stanca. Cioè. Non stanca come qualche anno fa, intendiamoci.

E quindi? Come affronterò questa nuova fase?

Mi iscrivo in palestra????????

PUHAHAHAHAAHAHAAAAHHHHHHHHH!!!

P.s. no il terzo non lo faccio.

 

 

 

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Da Bradipa ad Anatra

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Care Moms

Dopo lo sdoppiamento di personalità in mamma bradipa a mamma bradipa psicologa,

Oggi per voi addirittura un mutamento animale: da bradipa ad anatra!

anatra

Questo articolo è d’obbligo perché so che se in questo periodo dell’anno non mi sentite, pensate subito che in depressione post ferragosto, fine estate, inzio dell’autunno eccetera eccetera eccetera.

Ma contro ogni mia più fantascientifica previsione, quest’anno settembre non lo temo come fine di qualcosa, ma lo attendo come inizio di altro.

No non mi hanno rubato l’account.

Non ho nemmeno bevuto la Coca Cola con le menthos dentro e non sono nemmeno montata su un ottovolante così veloce da invertirmi i pensieri.

No. Sono sempre io.

Solo che quest’anno a settembre ricomincio a fare quello che avevo smesso di fare da tanto. Fare la psicologa.

Con i miei ritmi bradipi, i miei guizzi geniali e le mie paranoie ansiose, sto mettendo insieme tante idee. E per la prima volta dopo taaaaanto tempo, la voglia di cominciare è molta di più di quella di progettare.

Che la passione sia un salva vita me lo racconta anche il fatto che per il momento non sono ancora a rischio infarto per l’inizio delle elementari di Giacomo e l’asilo di Aurora.

Settembre di inizi e non di fini.

In realtà l’ho sempre saputo. Che mi sarei trasformata in anatra intendo.

Che dal non riuscire a combinare niente se non starmene avvinghiata ai miei figli, mi sarei sgranchita le gambe (ops, le zampe) un passo più in là con i bimbi ad un passo più in qua, come teneri anatroccolini.

Le mani non sono più occupate a stringere manine sudaticce, le braccia non sollevano più dozzine di chili cicciosetti –  e la mente, non deve più pensare ad anticipare qualsiasi evento che si possa verificare nel raggio di 8 chilometri intorno ai bambini e in qualsiasi dimensione temporale.

Così il cervello, alleggerito e ringiovanito, se ne può tornare a sguazzare nelle passioni e interessi messi in bozza.

Per me, “fare figli”, è stata la forma più elevata di creatività. E per fortuna, quando Aurora ha compiuto due anni, la creatività ho deciso di direzionarla nella professione!!! 🙂

Però la mia anima bradipa è nel DNA non vi preoccupate eh!?

Volevo solo rassicurarvi sul fatto che non sono in preda al panico che avevo prospettato a primavera.

Il calendario non mi fancula, i grembiuli nell’armadio non mi fanno la linguaccia e le giornate sempre più corte non mi salutano con malinconia.

Certo gente, io che parlo di settembre con giubilo e gli faccio l’occhiolino, è inquietante eh?!

Cioè io!

Ho un attimo di smarrimento…

Ok allora penso ai primi pizzicorini di gola, al freddo quando si esce dalla doccia, ai fazzoletti seminati ovunque, ai 45 minuti per vestirsi/spogliarsi, all’ansia per i regali di Natale e…..

Ahhhhhhhhhhhhh! Aiutooooooooooooooooooo!!!!!!!!!

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Quei quadretti bianchi e blu

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quei quadretti bianchi e blu

Lo so che i figli crescono.

So che i fiori sbocciano e l’erba si allunga. Che dopo la notte arriva il giorno e poi la notte. E poi ancora il giorno.

So che mi verranno le rughe e qualche capello bianco.

So che se non stiro, la pila di panni si alzerà.

Che la banana nella fruttiera maturerà.

 

So che mio figlio ha sei anni.

Ma me ne sono resa conto solo l’altro giorno. Alla festa dei diplomi dell’asilo.

Perché nessuno mi aveva detto che oltre a Babbo Natale, alla Befana, al Coniglietto Pasquale ed alla Fatina dei Dentini – esistesse anche il Folletto Crescino, che un bel giorno, scambia il tuo bambino cicciottino-piccolino-mammino, con uno diverso.

Un bambino che all’inizio spariva dentro a quel grembiule dai quadretti bianchi e blu, fisicamente e psicologicamente troppo grande –  con uno che sa infilarlo-abbottonarlo-sbottonarlo.

Che al posto delle manine sudaticce da tenere, ha degli stinchi secchi che corrono via;

Invece di una vocetta che ti dice “mamma mi prendi in braccio?”, una voce squillante che si allontana veloce: “mamma vado a giocareee”!

Al posto dei piagnuicolii, le risate;

E al posto delle guanciotte paffute, una manciata di cm di altezza in più.

Sembra passato pochissimo tempo. Invece pare siano tre anni.

 

E mentre vedevo tutti i “diplomandi” sfilare con il tocco in testa, sulle note di We are the Champions, ad un certo punto – un bimbo ha incrociato il mio sguardo appannato dalla commozione, – e saltellando e ridendo, mi ha fatto la linguaccia.

Era mio figlio.

Ma come, il mio bimbo non era quello che scoppiò a piangere alla prima festina di Natale dell’asilo? Quello che “no lui invece non vuole”, quello di “ma poi crescerà” e pure quello di “Ma saremo noi che abbiamo sbagliato troppe cose?”.

Ed allora, come quando si sviene e si dice ti passi davanti tutta la vita, in quei pochi secondi, mi sono tornati in mente questi tre anni di asilo.

 

Ci sono stati mesi difficili, densi di pianti ed influenze. Conditi con rabbia e sensi di colpa. Di quando vederlo in quei quadretti bianchi e blu, era un’angoscia.

E a ripensarci, son sempre fitte al cuore.

Quando mio marito dovette scappare con lui urlante e piangente, alla presentazione della scuola, mentre io ero a casa con la sorella tregiornenne;

Quando durante l’inserimento, vidi una maestra asciugargli il naso mentre piangeva e mi sentii una cacca per non essere io a farlo;

Per i lavoretti fatti all’asilo, che voleva nascondere e non vedere più;

Per i miei mal di stomaco – ogni mattina almeno fino a dicembre;

Per quei  “mamma mi manchi molto all’asilo” con le guance solcate dalle lacrime.

 

Ma poi, è cominciata la discesa.

E  i pianti e le angosce che risiedevano nelle sue guanciotte paffute, si sono trasformati in sorrisi e competenze, tutti in fila nei centimetri di altezza che ha guadagnato.

Non un bimbo che scalpita per andare all’asilo, perché non sarebbe lui. Ma un bimbo sereno.

E allora sì che sulle mie braccia compaiono i brividi, a ricordare certi momenti.

Per come era emozionato  e contento alla presentazione delle elementari;

Per la prima volta che andai a prenderlo e mi disse “Mamma sai mi sono divertito molto!”;

Per la prima recita in cui è stato tranquillo (e nel bel mezzo ha urlato “Hei quello là è il mio papà!”) e i primi lavoretti di cui va fierissimo;

Pensando che “se la sa cavare” anche se non sono lì con lui;

Per come all’uscita è sereno e sorridente e saluta tutti come se fosse un V.I.P..

 

E allora, contro ogni previsione, mentre stiro per l’ennesima e quasi ultima volta il suo grembiule, rifletto su come il bilancio di questi tre anni sia positivo.

E oltre ogni possibile desiderio, i sensi di colpa un po’ attenuati.
Perché l’altra sera, mentre ricordavamo i primi tempi – tra gli sguardi sconvolti e le bocche spalancate mie e di mio marito, lui se ne è uscito con “MA PERCHE’ PIANGEVO?!”

Marianna zebra se lo sapevo che avresti detto così non mi sarei strappata unghie e capelli dall’angoscia!!!!

 

E allora sapete una cosa? Contro quello che ho sempre detto, mi mancherà non vedere più quei quadretti bianchi e blu.

 

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Un ringraziamento speciale alla Prima Maestra di Giacomo, che ha saputo evidenziare le sue potenzialità senza mai sminuirlo e che soprattutto ha accolto ed inserito anche a me!

 

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Sei e Tre

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Qualche giorno fa, in un negozio di articoli per la casa, ci siamo imbattuti in una parete di candeline.
Tra pochi giorni sarà il compleanno di Giacomo, e quindi ci siamo messi a scegliere la più bella, optando poi, per un sobrissimo 6 gigante e pieno di glitter.

La duenne, che seppur intelligente quanto sua madre, non riesce ancora a capire che per arrivare a giugno debbano trascorrere ancora mesi, ha richiesto a gran voce la sua.

Mica vanno a male le candeline, mi son detta! Ed ecco scelto un 3, l’unico disponibile di color fucsia. Perché Aurora è nella fase in cui l’importante è che quello che cerchiamo sia di una nuance di rosa; rosa antico, rosa cocomero selvatico, rosa cipria… poi, può anche trattarsi di un Incredibile Hulk per dire… (sempre che qualche mente contorta abbia creato un Incredibile Hulk rosa).

Insomma, poco dopo, stringevo tra le mani due candeline: un Sei e un Tre.
Il Sei più grande e forte e il Tre più piccolo e delicato.

sei e tre

Sei e Tre sono gli anni che avranno tra poco.

Sei, gli anni che servono per andare alle elementari;

Tre, quelli per andare all’asilo.

Sei, quelli per cui tra qualche mese, non potrò più scrivere sul calendario, i regali di Natale che gli abbiamo comprato;

Tre, gli anni per cui le mattine saranno troppo silenziose.

Sei, gli anni che mi fanno ripensare alla mia prima cartella con le ciliegie rosse;

Tre, quelli di grembiulini finalmente a quadretti bianchi e rosa.

Sei, sono gli anni in cui comincio avere dei ricordi nitidi di me bambina;

Tre, gli anni che aveva Giacomo quando è nata Aurora.

Sei, gli anni “sufficienti”; ma sufficienti per chi?

Tre, gli anni con un + subito dopo, sulla scatola della maggior parte dei giochi.

 

La scuola comincerà a settembre, ma iniziano ad esserci chiari segnali di cambiamento.

Io non lo so se sono pronta. Credo che avrò un invecchiamento precoce.

E così, se per loro saranno Sei e Tre, per me, mi sa saran SESSANTATRE.

 

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Occhiali nuovi, visione nuova

| Mamma Bradipa tenera, Senza categoria

Avete presente quando dentro di voi scatta un TLIC che come se fosse il rumore di un interruttore, qualcosa che pensavamo da tempo, scatta su ON?

Poetico, vero?

Ecco, io ho sentito questo tlic il primo gennaio. Perfetto direi. Anno nuovo, vita nuova si dice.

Peccato che il mio tlic, è stato prima quello della mia schiena e poi quello dei miei occhiali che si troncavano in due – che di poetico, non ha proprio un tubo.

Immaginate la scena di una povera trentasettenne che urlava ad ogni movimento con una lente in mano come il Gran Duca Monocolao di Cenerentola; nessun occhiale di riserva, niente lenti a contatto. Giorno festivo. Oltre a questo, il pensiero della cifra che avremmo dovuto spendere; che dopo gli esborsi natalizi, era proprio perfetto per fare studi sull’eco dentro ai nostri portafogli.

Per fortuna, San Marito, riesce ad incollarli con un’impresa che potremmo vedere presto su National Geographic nel programma Mega Incollamenti.

Il giorno dopo, vado a scegliere dei nuovi occhiali.

Quelli vecchi, erano del 2005. Avevano visto matrimonio, nascite, ristrutturazioni, influenze, litigi, pianti, piogge, salsedine, sabbia e vento. Erano terribilmente sciupati, le lenti graffiate, ma ogni volta che mi riproponevo di cambiarli, qualche spesa extra si presentava.

Il 2 gennaio, in quel negozio, dopo tanto tempo facevo qualcosa solo per me. Senza sensi di colpa perché assolutamente necessari, giocando col marito a fare la modella.

L’8 gennaio, mentre tutti tornavano alla normalità post festiva, io recuperavo la mia normalità visiva. 

Occhiali nuovi, visione nuova. Sembrerà banale, ma il mio ritorno alla normalità è stato capire che è tornato il momento di volermi un po’ più bene.

Di fare qualche addominale ed esercizio per evitare di rimanere bloccata con la schiena troppo spesso, prendermi qualche momento per coccolarmi e soprattutto, riprendere in mano i miei sogni.

Perché è inutile fare i buoni propositi di dieta/palestra/trucco/parrucco. Non lo farò mai. Non mi appartengono e non mi piacciono.

No. Ho capito che per cambiare qualcosa, bisogna amarsi.

E voi vi amate? Che ne pensate?

 

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