Care Mamme,

Contrariamente alla mia super esplicitata pigrizia, da piccola volevo avere 17 figli. Da buona organizzata, programmatica e ignorante sulla indecisionabilità dei tratti estetici, avevo già scelto per tutti, non solo il nome, ma anche il colore di occhi e capelli.

Ho sempre giocato “a mamme”. E ho smesso solo quando ho cominciato a desiderare di esserlo per davvero.

Per me, essere mamma, è sempre stato al primo posto. Anche a 19 anni, quando scelsi l’università che mi permetteva di fare una professione che potevo gestirmi da sola, ovviamente per seguire i bambini.

Nel frattempo, avevo aggiustato un po’ il tiro e quando decidemmo di metter su famiglia, ero scesa a quota tre.

Ho avuto una gravidanza meravigliosa, seppur con lo spauracchio del parto, che temevo fin da quando mi avevano spiegato come nascono i bambini. Stavo benissimo, ero felice e non vedevo l’ora di coccolare quel batuffolino che alloggiava temporaneamente dentro me.

Poi nacque. Del parto neanche me ne accorsi si può dire. E per me il più era fatto. Ora avevo davanti a me giorni, mesi, anni di felicità, di messa in atto di tutto quello che sognavo da anni e su cui mi sentivo preparatissima.

Ma non fu subito così.

Proprio io che non avevo mai pensato ad altro, mi sentivo in una terra straniera senza dizionario.

Io che sognavo di metterlo a dormire nel lettone ogni volta che piangeva, mi ritrovai un bambino che amava dormire a stella e solo.

Io che immaginavo di dover rassicurare mio marito, su quanto lo amassi, nonostante l’arrivo del bambino, mi sorpresi gelosa delle attenzioni che lui dedicava al figlio. Perché io, non riuscivo a provare per quel piccino (col senno di poi, lo credevo solamente), quell’amore che leggevo negli occhi del suo papà.

Io che mi immaginavo realizzata e felice, ero sopraffatta dagli ormoni, e per un bel po’, quando mio marito tornava da lavoro, gli affidavo quel fagottino caldo e morbido e scoppiavo in un pianto impetuoso.

Io che mi immaginavo preparatissima e naturalissima nel seguire la sua crescita, mi ritrovai circondata da post-it con gli orari dell’ultima poppata, dell’ultima pesata e ogni sera andavo a dormire con l’angoscia di non sapere per quante ore avrei potuto farlo, stretta nella morsa del non sapere e del non poter programmare.

Non ne parlavo con nessuno se non con marito e mamma, perché a distanza di tempo, posso dire che mi sentissi un’imbranata inutile che non sarebbe mai stata in grado di accudire un bambino.

Ricordo ancora con il gelo nel sangue, che non percepivo lo scorrere del tempo. Per me sarebbe stato sempre così: pianti, mangia, pianti, dorme, sereno per dieci minuti, popò, poi pianti per sonno e via così.

Ma per fortuna, il tempo scorre e i bambini cambiano. Le mamme cambiano.

E sbocciai.

Ricordo che la notte mi svegliavo con il cuore che batteva fortissimo perché ero emozionata da come amassi mio figlio. Da come me ne fossi innamorata piano piano.

Ho pensato che magari ci sono tante neomamme che si sentono contente per metà e l’altra metà in colpa ed infelici.

E allora non fate come me, parlate-parlate-parlate, non sentitevi diverse. Perché quando mi decisi a confidarmi con una mia amica, scoprii che anche per lei l’inizio era stato un bel casino.

Così magari, prima di quanto sia successo a me, vi sveglierete di notte col cuore in gola per tutto l’amore che provate.

P.s.: Con la seconda figlia non avevo aspettative caratteriali ed è stata tutta discesa.

P.s.2: Sono scesa a quota due!!!!

 

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