Riabilitazione dal piede cadente: la mia esperienza

Riabilitazione
Riabilitazione

Riabilitazione

Vi racconto il mio percorso di riabilitazione dal piede cadente. Fino a un anno fa non sapevo che cosa fosse il piede cadente. Non ne avevo mai sentito parlare. Finché poi, mentre ero in vacanza, mi sono bloccata con un dolore atroce al nervo sciatico, che partiva dalla schiena e continuava per tutta la gamba sinistra. Dolore che mi era già capitato qualche anno prima, a causa di una ernia alla schiena. Dolore atroce che non auguro a nessuno. Preferirei fare altri 10 parti naturali, senza epidurale, piuttosto che provare un dolore simile. Non riuscivo a muovermi. Non riuscivo ad alzarli, né a mettermi seduta.

Con una puntura (e poi tante altre punture successive) quel dolore si è placato, tanto da permettermi di riuscire a muovermi. Ma dopo qualche giorno il mio piede si è bloccato. Un po’ alla volta. Ho iniziato a notare che non riuscivo molto ad alzarlo. Quel movimento chiamato di dorsoflessione, che poi è fondamentale per riuscire a camminare. Facevo fatica a camminare, proprio perché il mio piede non si alzava. Forse sarei dovuta correre subito dal neurochirurgo. Ma ormai il danno era fatto. C’era qualcosa.

Alla fine tra quando il piede si è bloccato e quando sono stata operata alla schiena è passato meno di un mese. Tutto sommato siamo intervenuti anche in tempi rapidi. Ricordo però le parole del neurochirurgo, che appena mi ha vista entrare nel suo studio, mi ha detto “Tu ti dovevi operare ieri“. Ha capito ancor prima di vedere la mia risonanza che la situazione era seria e che bisognava intervenire prima possibile, per provare a recuperare.

Dovevo assolutamente togliere quell’enorme ernia che mi aveva schiacciato il nervo. Nervo che anche se stava sulla schiena era collegato al piede. E gestiva questa benedetta dorsiflessione del piede. E così per la prima volta ho sentito parlare di piede cadente. E ricordo anche le parole del neurochirurgo che mi ha detto che non poteva garantirmi che sarei riuscita a recuperare il piede. Bisognava vedere se il nervo era lesionato, se sarebbe riuscito a riprendersi dopo un simile trauma. Parole dure, ma che comunque doveva dire. Perché non dovevo pensare che il giorno dopo l’operazione il mio piede sarebbe ripartito normalmente come se niente fosse. Ci avrei dovuto lavorare con un serrato programma di riabilitazione. Sono uscita dal suo studio in lacrime. Con la paura di avere un danno permanente. Una sensazione terribile.

Il primo passo comunque era togliere l’ernia prima possibile. La cosa da fare assolutamente per provare poi a recuperarlo. Se non avessi tolto l’ernia, non c’era assolutamente modo di recuperarlo. Togliendola potevo dare una speranza al mio piede. Ma nessuna certezza. Mi ha anche dato un periodo di massima indicativo, di 6/8 mesi per provare a recuperarlo. Se dopo quel periodo non avessi ancora avuto miglioramenti, allora avremmo potuto parlare di soluzioni alternative. Dalla semplice molla, una sorta di plantare che dà la spinta al piede verso l’alto, per fargli fare quel movimento che da solo non riusciva più a fare, ad una nuova operazione per un innesto di nervo.

Ma prima di arrivare a tanto, bisognava provare a recuperarlo con la fisioterapia. Senza certezze. Solo con la speranza di riuscirci. Ed è un po’ quello che anche la mia fisioterapista, a cui sono stata affidata circa 3 settimane dopo l’operazione per iniziare la riabilitazione, mi ha detto. Con altre parole, ma anche lei mi ha detto che non poteva dirmi che avremmo risolto entro un certo termine. Non poteva darmi una data di fine della fisioterapia e nemmeno darmi la certezza che sarei riuscita a recuperarlo. Bisognava vedere se e come avrebbe reagito il nervo. Perché aveva subito un trauma. Era rimasto schiacciato ed aveva sofferto. E non si poteva sapere se e come si sarebbe ripreso. Sono stata affidata a lei perché è specializzata in problemi neurologici.

Con la consapevolezza che sapevo quando iniziavo la fisioterapia ma non sapevo quando l’avrei finita e nemmeno se avremmo raggiunto traguardi soddisfacenti, ho iniziato il mio percorso di riabilitazione post-operatorio. Riabilitazione da quel piede cadente che mi ha resa insicura. Non fidarsi più delle proprie gambe è qualcosa di tremendo. Non sentirsi stabile sulle proprie gambe. Aver paura di uscire da sola, per il timore di cadere ad ogni passo. Non è stato semplice all’inizio. Non uscivo mai da sola. Avevo letteralmente paura. Paura di prendere una buca non vista e di cadere. Paura di scontrarmi con qualcuno e di perdere l’equilibrio e cadere (perché solo con una gamba “buona” la mia stabilità era abbastanza compromessa).

I primi tempi uscivo solo per andare a fare fisioterapia. E se dovevo uscire per altri motivi, non lo facevo mai da sola. E questa cosa mi pesava. Non poter uscire da sola nemmeno per andare al negozio sotto casa, perché non mi sentivo sicura, era terribile. La mia fortuna è stata avere un’ottima fisioterapista che mi ha accompagnata in questo percorso ed ha coinvolto altri suoi colleghi per aiutarmi a recuperare. Ovviamente l’impegno loro ed il mio non bastava. Bisognava vedere come avrebbe reagito il nervo, ma dovevamo provarci con la convinzione di poterci riuscire. Mi ha aiutata a rimettermi in piedi e a farmi ritrovare quella sicurezza che avevo perso. Passo dopo passo. Abbiamo lavorato bene insieme. Ha coinvolto anche un’altra fisioterapista (per gli esercizi attivi) e poi un fisioterapista per l’idrochinesi. Un lavoro di gruppo per aiutarmi a recuperare quel piede cadente.

Tre persone che, ognuna a modo suo, mi ha aiutata a recuperare. Mi ha aiutata a imparare di nuovo a camminare con quel piede. Ad imparare quello schema del passo (tallone, pianta, punta) che è fondamentale, ma che è qualcosa a cui non si pensa. Quei movimenti che sono talmente naturali che si fanno senza pensarci. Ed io invece dovevo imparare nuovamente a pensarci. Dovevo imparare a camminare concentrandomi per fare il giusto passo. Ed appoggiare prima il tallone, poi la pianta e poi la punta del piede. Un movimento che sembra veramente così stupido, ma che col piede cadente è quasi una cosa impossibile.

Alzi il piede e rimane completamente giù. Cadente, appunto. Non risponde, non si alza. Ed il rischio di inciampare sul proprio piede ad ogni passo è veramente molto alto. All’inizio, quando ho iniziato la fisioterapia, era così il mio piede. La prima volta che ho fatto fisioterapia, la fisioterapista ha preso il mio piede e mi ha dato un stretch verso il basso. Prendendomi alla sprovvista. Da ignorante in materia, pensavo che l’avrebbe spinto verso l’alto, per ricreare quel movimento che non mi veniva. Ed invece l’aveva spinto verso il basso, ancora di più di quanto non cadesse già da solo. Perché il movimento doveva partire proprio da lì. Dovevo provare a farlo proprio partendo dal massimo della flessione al contrario del piede. Ed all’inizio era veramente difficile, oltre che faticoso. Mi sembrava incredibile che un movimento così stupido verso l’alto fosse in realtà per me così faticoso. Il piede si tirava su pochissimo. E dopo i primi minuti smetteva di rispondere proprio per la fatica.

Ma abbiamo continuato così. Poco a poco. Un passo alla volta. Con il suo stretching verso il basso, il movimento da fare verso l’alto. La dorsiflessione che all’inizio era minima, ma lei mi aiutava a farla. E poi con gli esercizi attivi. Prima da seduta. Su una semplice medusa, una sorta di cuscino, su cui poggiavo il piede e provavo a fare il movimento sia di dorsiflessione, che un movimento laterale. Dovevo riabituare il piede a fare certi movimenti che aveva perso. E ho perso il conto di tutte le volte che mi hanno ripetuto lo schema del passo: TALLONE, PIANTA, PUNTA.

Era diventato il mio incubo. Ma anche il mio scopo. Riuscire a rifare lo schema del passo. Un’impresa che all’inizio sembrava impossibile. Ma piano piano qualcosa si è smosso. Ed ho iniziato a notare qualche impercettibile miglioramento. Poco per volta. Con molta calma. Ma iniziava a muoversi ancora di più. E se all’inizio il mio schema del passo era più che altro pianta e punta. Piano piano ho conquistato un minimo tallone. Poco poco, ma c’era. E su quello abbiamo continuato a lavorare. E nel momento in cui si è visto un po’ di più, abbiamo aggiunto l’idrochinesi, la fisioterapia in acqua, che mi ha dato un’ulteriore stimolo. Ed è stato un ulteriore aiuto per raggiungere quella stabilità che avevo perso, per ritrovare l’equilibrio che non avevo più sulla gamba sinistra.

E piano piano ho iniziato a notare dei cambiamenti. Cambiamenti quando camminavo. Cambiamenti quando scendevo o salivo le scale. O quando facevo una salita. E cambiamenti nel camminare… all’inizio non uscivo se non c’era qualcuno a cui appoggiarmi. Poi ho iniziato ad uscire accompagnata, ma senza appoggiarmi. All’inizio camminavo ma molto lentamente. Poi ho iniziato a recuperare un po’ di velocità. Certo, non faccio le maratone, ma i miglioramenti ci sono.

Quando mi hanno messo la prima volta sul tapis roulant, camminavo andando con la pianta piena. Non riuscivo a poggiare quel tallone in maniera tale che si vedesse che lo appoggiavo. Ma a forza di fare fisioterapia, a forza di provare a fare quello schema del passo, il mio nervo in qualche modo ha iniziato a reagire, ha iniziato a riprendersi. E piano piano quello schema del passo è tornato. Aiutandosi anche con la giusta scarpa, un po’ alta, che fascia la caviglia. Miglioramenti lenti, ma progressivi. Ed ogni volta vedere uno dei miei fisioterapisti felici di quei miglioramenti, mi dava sempre più sicurezza e voglia di continuare e di impegnarmi a fare tutto quello che mi proponevano.

Andando avanti abbiamo aggiunto sempre più nuovi esercizi e nuove forme di fisioterapia. Sono partita facendo 3 sedute di fisioterapia a settimana. Fisioterapia passiva e qualche esercizio attivo. Man mano abbiamo aggiunto altri esercizi attivi. Poi abbiamo aggiunto anche la fisioterapia in acqua. E un ulteriore passo è stato fatto aggiungendo l’RSQ1 (esercizi attivi che si fanno mentre si è attaccati ad elettrodi che ti danno una scossa continua). Adesso dopo quasi 8 mesi dall’inizio della riabilitazione abbiamo dimezzato la fisioterapia. E andrò avanti ancora un po’ con una seduta di fisioterapia ed un RSQ1 a settimana.

Ho recuperato quasi tutto. Non al 100%. Solo l’alluce del piede è rimasto un po’ indietro. Fa un primo scatto verso l’alto, ma non lo completa. E’ un po’ un problema, ma comunque, nel complesso, pensando a come ero partita, sicuramente i progressi sono notevoli. Oserei dire di aver recuperato un 90% (sperando di non essere troppo ottimista). Lo schema del passo l’ho ripreso. Con le scarpe vado molto meglio. Camminare sul tallone è ancora difficile. Ma camminare normalmente mi viene. E questo è importante, per non rischiare di rovinare l’anca o il ginocchio, camminando male. Non sarà una camminata perfetta, ma sicuramente è una camminata decente. Il piede non tende più a spingersi verso l’interno, come faceva probabilmente perché il nervo esterno (o muscolo… ancora faccio confusione) dominava troppo su quello interno del polpaccio.

Mi si è aperto un mondo nuovo facendo fisioterapia. Ho scoperto nervi e muscoli che non sapevo nemmeno di avere. Muscoli antagonisti che devono lavorare insieme per il giusto movimento. Problemi di stabilità ed equilibrio che abbiamo risolto e su cui ho imparato veramente tanto. Non ho ancora risolto del tutto il mio piede cadente. Non so se lo recupererò al 100%, ma il fatto di aver recuperato lo schema del passo, aver recuperato un po’ di sicurezza e stabilità o di equilibrio che non avevo più, sono sicuramente buone notizie che mi hanno alleggerito da questo peso e da tutti i timori dell’ultimo anno.

Andiamo avanti ancora un po’ con questo percorso di riabilitazione, sperando di riuscire a recuperare tutto il possibile. In questo grande lavoro che ho fatto e continuo a fare con grandi specialisti che mi seguono e mi aiutano.

Non sottovalutate le ernie del disco. Se avete dolori, pensate di avere un’ernia, avete fastidi che non passano, qualsiasi segnale sia… non sottovalutatelo. E controllatele. Perché un’ernia che schiaccia un nervo può causare dei danni veramente tremendi. E non sempre recuperabili, anche facendo tanta riabilitazione. Magari nel vostro caso non sarà nulla di grave e si risolverà senza problemi. Ma sempre meglio un controllo in più.

Image by Laura Artal from Pixabay

2 Risposte a “Riabilitazione dal piede cadente: la mia esperienza”

  1. Io ho esattemente lo stesso problema. Purtroppo ce l’ho ormai da molti anni. All’inizio non era una cosa eviedente ed è successo anche a me in seguito a un’ernia e una fortissima lombosciatalgia.
    Cosa consiglia di fare? Io sto a Milano, potrebbe per caso consigliarmi un fisioterapista? Ho speso tantissimi soldi tra ortopedici, tac, risonanze, massioterapisti, osteopati, posturologi ma non ne vengo a capo. Il tutto è aggravato anche da un notevole sovrappeso. Ultimamente mi stanco tantissimo a camminare perché è come se camminassi su un solo piede e questo si ripercuote sia sulla vita lavorativa sia su quella sociale, perché è chiaro che non amo farmi vedere in queste condizioni.
    Grazie intanto per aver condiviso l’esperienza e cordiali saluti
    Alessandra

    1. io sono a Roma e purtroppo non conosco fisioterapisti a Milano. Magari sarebbe utile fare una visita di controllo da un neurochirurgo e poi capire come procedere

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *