La maternità è (un) dono. L’istinto materno? Non esiste.
Sovverto anni di studi, sarò impopolare ma davvero non credo che ogni donna nasca con il desiderio di accudire un figlio.
Perché?
Perché un figlio è sacrificio, è (per i primi mesi di vita, ma forse anni o forse per sempre…) abnegazione di sé.
La gravidanza, momento di grazia, ma anche di preoccupazione: hai una vita che pulsa dentro di te, speri che avvenga un parto semplice e che tu figlio nasca sano.
Poi le nottate in bianco per le poppate frequenti, il singhiozzo, il pannolino da cambiare spesso, le prime cadute e i primi lividi, i capricci. Bene, la narrazione degli avvenimenti potrebbe continuare, anzi continua per tutta la vita.
E i momenti di sconforto sono tanti per molte neo mamme: prendersi cura sotto ogni aspetto di una vita appena iniziata, di un “esserino” che agirà nel mondo! Che responsabilità!
Non tutte le donne sono pronte a trascurare un pò una parte di sé e donarla al proprio figlio. Penso ad Erica Jong e alle sue parole:
Nessuno stato è così simile alla follia da un lato, e al divino dall’altro, quanto l’essere incinta.La madre è raddoppiata, poi divisa a metà, e mai più sarà intera.
L’intero (la madre) che si scinde e che non tornerà più una sola unità.
Ora, però, a fronte di questa premessa dai toni dissacratori, ti voglio anche dire che per molte di noi (io stessa appartengo alla categoria mamme, per giunta bis) la maternità è pienezza, è il senso della vita. E’ il motivo per cui mi sembra di essere nata: amare le mie bambine e donare loro cos’ tanto di me da renderle forti, sicure e ricche di affetto.
A volte vorrei che ritornassero nel mio pancione per poter risentire il loro movimento che si “intreccia” con quello del mio corpo che le ospitava. Mai scorderò il momento in cui il mio sguardo ha incrociato quello della mia piccola per la prima volta.
Gioia, tenerezza, sorpresa e pienezza, slancio vitale. Ammetto una certa melensaggine (eh,eh!), ma credo di pronunciare “Ti amo”, “Vita mia”, “Cuore mio” almeno cento volte al giorno (ovviamente, tra un rimprovero e l’altro da cui non si può, comunque, prescindere 😉 .
Gestisco la mia mammitudine con disinvoltura, lascio una certa “libertà” di azione alle piccole, pur delineando con una matita immaginaria una “stradicella” da percorrere; ritengo basilari alcuni principi educativi da seguire (la mia formazione professionale mi aiuta tantissimo nella prassi educativa quotidiana).
Mi piace preparare cibi sfiziosi e sani, non rinuncio a qualche merenda golosa, ma rigorosamente preparata in casa.
Spesso in cucina organizzo dei veri e propri laboratori: le piccoline manipolano, impastano, mesolano e sono così contente di questa operatività (“Learning by doing” direbbe Dewey, uno tra i miei ispiratori pedagogici).
Sono attenta, ma non ossessivamente apprensiva, cerco di infondere sicurezza in sé stesse alle bimbe, figlie già purtroppo di un’epoca fragile e dai contorni sbiaditi. Spero il meglio per loro. Spero brillino della luce che i loro stessi occhi emanano. Spero che esprimano pensieri lucidi ed equilibrati. Spero che sappiano amare con lo stesso ardore con cui io, la loro mamma, amo loro. Penso a loro proiettate nel futuro sempre, tutti i giorni. Le ho “create” per questo, giusto? Mi vengono in mente i versi di Kahilil Gibran:
…Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti. L’arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloco e lontane…
Per quanto lanciate verso il futuro vorrei tanto che le mie cucciole volgessero il loro sguardo verso chi le ha desiderate con ardore e puro desiderio di vita.
In fondo l’amore cerca (e chiama) l’amore.
