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Cosa fare se tuo figlio ancora non parla?

La dott.ssa Manuela Farano, logopedista, risponde ad un interrogativo frequente delle mamme: “Cosa fare se il bambino ancora non parla?”.

Buona lettura!


Cosa fare se tuo figlio (dai 24 ai 36 mesi di età) ancora non parla. Parte 1

Una preoccupazione che coinvolge molti genitori è legata alla paura che il proprio bambino non abbia ancora raggiunto un buon livello di maturazione del linguaggio. Questo perché, sbagliando ed inconsapevolmente, ognuno di voi fa il confronto con il primo figlio, o con i figli degli altri, che pur avendo la stessa età del vostro bambino, parlano meglio di lui. (altro…)

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Consigli pratici per comunicare con un figlio adolescente

Consigli pratici per comunicare con un figlio adolescente

Ti rendi conto che i tuoi figli stanno crescendo quando smettono di chiederti da dove vengono, e si rifiutano di dirti dove vanno. Patrick Jake O’Rourke

Dopo aver esaminato alcuni aspetti generali sull’adolescenza è opportuno fornire qualche elemento di approfondimento in merito a come comunicare con un figlio durante la fase adolescenziale.

Di seguito riporto alcuni suggerimenti utili per avviare per comunicare con un giovane ragazzo durante questa delicatissima fase di crescita: (altro…)

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Genitori, sport e psicologia

La dott.ssa Sonia Sorgente -psicologa ( Psiche&Nutrizione)- ti parla dell’importanza dello sport, della genitoriaità e della psicologia in un articolo che ben illustra il ruolo della psicologia dello sport nella gestione di problematiche e dinamiche nate nel mondo dello sport. 

LO PSICOLOGO E LA GESTIONE DELLE PROBLEMATICHE SPORTIVE

Lo psicologo dello sport che cos’è? Cosa fa? Su cosa interviene?

La psicologia dello sport è la disciplina che studia gli aspetti psicologicisociali dello sport.

Inizialmente la psicologia dello sport cercò di stabilire delle relazioni significative fra personalità e sport, utilizzando soprattutto strumenti diagnostici provenienti dalla psicologia clinica, ma successivamente si è specializzata nell’ambito della preparazione mentale e sulle abilità che possono essere incrementate nello sportivo, vale a dire l’attenzione, la concentrazione, la motivazione, la gestione dello stress e dell’ansia ed altro.

Lo psicologo dello sport è un dottore in psicologia (ad indirizzo clinico ) che mette a disposizione le sue conoscenze presso FederazioniEntiPalestre, Associazioni e si dedica alla formazione, tramite interventi individuali o di gruppo, dello staff dirigenziale, degli arbitri, degli allenatori, istruttori, degli atleti di sport individuali o di squadra.

Lo psicologo non è un tecnico, quindi non eroga servizi che riguardano consigli o strategie tecniche e tattiche, ma riveste un ruolo ben definito: quello di esperto di tematiche psicologiche nei confronti di tutti i membri della Società sportiva.

Lo psicologo dello sport si occupa in particolare di: allenare e potenziare le abilità mentali degli atleti, fra cui annoveriamo in particolare l’abilità di rilassarsi,di visualizzare, di porsi degli obiettivi, di mantenere la propria motivazione, di gestire l’ansia da prestazione.

La psicologia dello sport sta dando un enorme contributo alla comprensione del ruolo dello sport nello sviluppo dei bambini, evidenziando come debba rappresentare un’esperienza divertente, di crescita e consapevolezza del proprio corpo, dello stare bene con se stessi e gli altri (compagni di squadra e allenatore).

Le principali competenze dello psicologo sportivo sono:

  • il goal setting (formazione corretta degli obiettivi di prestazione e di risultato);

  • allenare a gestire le emozioni;

  • allenare alla visualizzazione del percorso e dei gesti motori dell’atleta;

  • migliorare l’autostima dell’atleta;

  • proporre strategie per la gestione dell’attivazione psicofisica dell’atleta;

  • studiare e potenziare gli stili attentivi dell’atleta;

  • lavorare sul self talk (dialogo interno) positivo e negativo;

  • diagnosticare disturbi alimentari (DCA) sport-specifici;

  • diagnosticare psicopatologie sport-specifiche come la nikefobia, l’ansia da prestazione o la sindrome del campione;

  • analizzare il gesto motorio con videoregistrazioni;

  • informare ed intervenire sull’abuso di sostanze dopanti e stupefacenti;

  • informare ed intervenire sull’uso improprio di farmaci antidolorifici negli atleti infortunati;

  • offrire consulenza sul dolore, depressione, perdita e suicidio negli atleti;

  • offrire consulenza sull’overtraining e sul burn-out negli sportivi;

  • offrire consulenza sulla gestione della grinta e dell’aggressività in relazione allo sport;

  • intervenire sull’infortunio sportivo e sul processo riabilitativo;

  • seguire i passaggi di categoria e i cambiamenti nella vita dello sportivo;

  • favorire il team spirit;

  • favorire la gestione della coesione di squadra;

  • analizzare e sviluppare la leadership di atleti ed allenatori;

  • sviluppare le competenze relazionali dell’allenatore;

  • sviluppare la sportività (fair play) negli atleti;

  • offrire consulenze di parent training ai genitori.

Lo psicologo dello sport fornisce gli strumenti di intervento atti a preparare al meglio gli atleti alle gare, può essere loro alleato nell’affrontare delle situazioni problematiche o particolarmente dolorose. I campi di intervento sono:

A volte il motivo di tensione o di pressione non riguarda direttamente l’atleta, ma i suoi genitori.

Ne soffre il ragazzo, ne soffrono gli allenatori, ne soffre la squadra o l’intera società sportiva.

Capita, ad esempio, che gli allenatori siano “rimproverati” per non aver capito il talento del ragazzo o, dopo un risultato modesto, di “non aver fatto il proprio dovere”.

I genitori, riversando sui figli le aspettative di successo, possono non rendersi conto dello stato delle cose, né di quali siano i desideri dei ragazzi.

Spesso l’allenatore e tutto lo staff sportivo hanno difficoltà a gestire queste dinamiche e a comunicare efficacemente con i genitori.

Anche in questo caso, lo psicologo dello sport può agilmente confrontarsi con entrambe le parti, al fine di giungere a una comprensione reciproca ed a delineare dei punti d’incontro sull’entità dei comportamenti, delle aspettative e degli atteggiamenti da perseguire. 

L’allenatore per un atleta è una figura di riferimento insostituibile.

Il rapporto che questi instaurano non è solo “di lavoro”, ma, per via del lungo tempo trascorso insieme, diventa inevitabilmente affettivo.

Infatti il coach non è solo importante per la preparazione tecnica e per l’esperienza che mette a disposizione dei suoi allievi.

Egli è anche vissuto come un genitore, un fratello maggiore, un insegnante o un modello a cui ispirarsi.

Ecco perché quando vi sono incomprensioni tra le due parti, queste non sono vissute superficialmente, anzi molto spesso causano malessere e silenzi insopportabili.

Può accadere ad esempio che l’atleta non condivida l’allenamento predisposto dal suo coach, o che questi non si senta riconosciuto nel suo ruolo.

A volte, invece, lo sportivo non comprende gli obiettivi che l’allenatore ha pensato per lui e quindi non si sente motivato a perseguirli.

Inoltre può avere difficoltà a entrare in relazione con lui poiché lo percepisce troppo autoritario e aggressivo nella sua rigidità.

In tutti questi casi, l’intervento dello psicologo dello sport è risolutivo nel migliorare la relazione allenatore-atleta

. Lo psicologo, in quanto figura esterna, non si occupa di stabile i torti e le ragioni o di emettere giudizi, né di convincere l’uno ad assecondare l’altro.

Piuttosto, si impegna a esplicitare i bisogni reali, sottostanti al motivo del conflitto e rimasti inespressi, in modo tale che ognuno possa meglio cogliere il punto di vista dell’altro senza sentirsi messo sotto accusa o sminuito nel proprio valore personale.

Una volta che si è creato ascolto attivo e comprensione reciproca, viene da sé che anche la loro interazione diventi più serena e funzionale agli scopi sportivi. 

Sono poche le circostanze in cui l’atleta possa sentirsi fragile e vulnerabile come quando si fa male.

A causa dell’ infortunio infatti egli vede scompaginata la propria vita, agonistica e privata, e può avere difficoltà a trovare la forza o la fiducia nella guarigione.

Spesso infatti dopo il ripristino dello stato di forma fisica, si sente ancora impreparato a tornare a giocare o attanagliato dalla paura di farsi male nuovamente.

Non è da trascurare, poi, il fatto che l’infortunio spesso è l’effetto di vari motivi di stress psico-fisico, predisponenti agli incidenti.

E’ importante che in queste situazioni delicate, l’atleta possa avere un sostegno di tipo psicologico per affrontare e ridimensionare i propri timori e ritrovare la grinta di un tempo.

La ricostruzione delle dinamiche concomitanti all’infortunio, congiunta alla riformulazione in positivo del proprio stato psico-fisico presente, permettono di tornare in campo con serenità e fiducia, lasciandosi alle spalle tale esperienza spiacevole. 

La carriera di ogni sportivo è fatta di alti e bassi, di soddisfazioni sorprendenti e di delusioni cocenti.

Non tutti hanno però la stessa prontezza e capacità di voltar pagina e di ricominciare come prima, meglio di prima.

La differenza sta nel valore personale che l’atleta attribuisce a sé nonostante gli errori commessi, nella stima incondizionata delle proprie capacità e nella fiducia di poter tornare a fare bene.

Molti invece hanno difficoltà a ritrovare lo smalto dei tempi migliori e cadono in un vortice di negatività, in cui il non sentirsi più in grado di giocare bene porta a scarse prestazioni, le quali alimentano a loro volta il senso di incapacità, e così via. In queste circostanze, lo psicologo dello sport può essere di grande aiuto.

Il suo lavoro è mirato ad analizzare le dinamiche delle scarse performance, in modo da individuare tutti i fattori che hanno contribuito ad esse.

Si tratta di una pratica cruciale perché soprattutto quando l’atleta è propenso a colpevolizzare se stesso quando le cose vanno male, non riesce a cogliere gli altri elementi implicati nella sconfitta.

Inoltre, una volta completata la visione d’insieme dei fattori concomitanti, lo psicologo gli fornisce gli strumenti per lavorare su tutti questi aspetti curandoli al meglio, rinvigorendo la sua fiducia e la sua passione. 

Cosa fa la Paura del successo? Sebbene si pensi che ogni sportivo sia motivato dal desiderio di vincere e di arrivare sempre più in alto nelle competizioni, spesso costui è mosso da sentimenti contrastanti.

Egli può avere paura di raggiungere il successo e di dover giocare sempre ai massimi livelli. Tale paura è motivata dal fatto che se dovesse sempre vincere, la sua vita inevitabilmente entrerebbe in un vortice di impegni agonistici, di ore crescenti di allenamento e di aspettative sempre più alte.

L’agonista può giungere a manifestare questa paura di successo cercando di defilarsi quando possibile o sabotando le proprie performance, in modo da far credere di non essere poi così bravo e di allentare così il senso di vincolo e di pressione che prova.

L’intervento dello psicologo dello sport, in quanto figura esperta di tali tematiche emotive, può fornirgli il supporto e gli strumenti necessari per comprendere quali siano gli specifici timori che lo dominano, per riconfigurarli e ridimensionarli adeguatamente, e per individuare insieme a lui modi diversi, più piacevoli e confacenti, di vivere l’agonismo e lo sport in generale. 

Disturbi del Comportamento Alimentare: Nonostante chi fa sport abbia uno stile di vita più sano della popolazione sedentaria, quando si giunge al livello agonistico si è più esposti al rischio di sviluppare aspetti sintomatici attinenti alla Anoressia o alla Bulimia.

I numerosi studi nell’ambito dimostrano infatti che gli agonisti sono più vulnerabili sotto questo profilo rispetto ai coetanei non atleti.

Gli sport particolarmente a rischio sono sostanzialmente quelli che prevedono categorie di peso, come wrestling, judo, karate, canottaggio e quelli che hanno marcati canoni estetici da rispettare, come pattinaggio artistico, ginnastica ritmica, danza e bodybuilding.

Dunque, gli aspetti sintomatici relativi ai DCA emergono maggiormente in queste discipline a causa della pressione che esse pongono sulla necessità di essere magri per rientrare in una certa categoria di peso o per soddisfare uno specifico parametro estetico.

La cura degli atleti affetti da queste problematiche, va sempre effettuata in equipe, dove nutrizionista e psicologo, seguendo i protocolli di Psiche&Nutrizione, coordinano il piano di lavoro in collaborazione con lo staff sportivo, in modo che l’atleta si senta accolto e preso in cura e si possa definire con lui un contratto terapeutico finalizzato a ristabilire il peso e l’alimentazione ottimali e a definire le modalità di allenamento più consone al suo stato di salute.

Ps. la dott.ssa Sorgente e la dott.ssa Marchese sono rispettivamente psicologa e nutrizionista della squadra Honveed Coperchia Calcio

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Fonte immagine: web
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La genitorialità responsabile

La genitorialità responsabile

Alcune brevi considerazioni  sulla genitorialità consapevole scaturite dal doppio ruolo di educatrice e mamma.

Sei un genitore? Allora saprai cosa significa essere responsabili di una vita umana.

Conoscerai il significato della parola “sacrificio”. Il sacrificio fatto con amore, con tutto l’amore che un essere umano possa concepire, un amore ed una dedizione senza confini.

Il genitore ama, il genitore accoglie sempre, il genitore perdona.

Il genitore educa, anche se, a volte, sbaglia in alcune valutazioni che riguardano il figlio. Ma può capitare di sbagliare.

Con un figlio si è spesso troppo clementi e allo stesso modo spesso oltremodo severi.

Il genitore conosce cosa significhi dedizione incondizionata.

Il genitore è omnicomprensivo.

Nella mia pratica pedagogica quotidiana in veste di madre ed educatrice spesso osservo una scarsa cultura della responsabilità genitoriale: non esiste un genitore perfetto, ci si può sforzare di esserlo, ma con non poche difficoltà.

La cura della sua educazione, la cura ed il rispetto della sua crescita psichica ed intellettuale. Questo deve stare a cuore al genitore: l’armonico sviluppo psicofisico di suo figlio.

Quando parlo di genitorialità responsabile intendo che ogni genitore abbia cognizione piena che ha generato un essere vivente con esigenze specifiche che vanno rispettate.

Un esempio di genitorialità responsabile?

  • Avere cura dell’istruzione del proprio figlio
  • Curare al meglio le esigenze fisiche del bambino (intendo, proprio, le cure materiali)
  • Insegnargli a rispettare chi gli sta accanto 
  • Insegnargli ad ascoltare e parlare seguendo regole sociali
  • E molti molti altri esempi…

Un altro segno di genitorialità responsabile sarà anche quello: saper lasciare libero il proprio figlio.

Tornerò su questo tema della “responsabilità” nelle prossime pagine del blog, merita approfondimenti ulteriori e precisi.

Ti lascio con gli splendidi versi del poeta libanese K. Gibran 

 

I vostri figli non sono figli vostri…

sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell’avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L’Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell’Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l’arco che rimane saldo.

responsabilita

 

 

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Non volevo terminare di leggerti, caro libro.

Non volevo terminare di leggerti, caro libro. 

Ho rimandato la lettura delle ultime 50 pagine per quasi un mese.

Mi hai fatto sorridere, commuovere, immaginare, amare e riflettere. Sei stato tutto questo in appena 246 pagine.

Sarai per sempre tra i miei libri preferiti.

Ti ho letto tra le 23 e l’una di notte, divorando ogni pagina con ardore. 

“Ciao”, arrivederci. Perchè correrò a sfogliarti nuovamente per riassaporare preziosi insegnamenti, rivivere emozioni. 

“Ciao”, appunto.


Tu che stai leggendo le mie parole su “Ciao”- libro scritto da Walter Veltroni, edito da  Rizzoli e finito di stampare nell’Ottobre 2015- sappi che si parla di una storia di altri tempi, raccontata con garbo e raffinatezza.

“Ciao” è l’amore di un figlio (a sua volta papà) verso il proprio padre, mai conosciuto.

La mia formazione pedagogica ha fatto si che mi sia soffermata in tratti del libro in cui emerge fortemente l’esigenza, da parte dell’autore, di stabilire un contatto con il padre che non ha mai conosciuto poichè prematuramente scomparso.

Veltroni immagina un dialogo lungo e complesso con il suo papà, lo “riporta alla vita” parlando con lui mentre rincasa nella propria abitazione romana.

“Ciao” rappresenta per il lettore un lungo viaggio introspettivo, ma anche un modo per ripercorrere la storia degli anni del dopoguerra italiano. 

Un excursus storico, un tuffo nel passato lavorativo e privato del padre dell’autore, Vittorio Veltroni, un’onda da emozioni travolgenti per il lettore. Questo, in estrema sintesi, è “Ciao”.

«Adesso siamo qui, papà.Gli dico, come se fossi incerto nel farlo.

«Qui dove?» Il tono è pieno di timore e di tenerezza.

«Qui, papà. In via Velletri. Qui, davanti al nostro portone. Siamo tornati indietro, a quella mattina. Stai uscendo dalla tua casa, ti hanno portato giù dalla tua casa, ti hanno portato giù dalle scale che io faccio ogni giorno. Per l’ultima volta, prima che stasera tornassi. Sono ancora i tuoi ragazzi a tenerti sulle loro spalle. Vorrei ci fosse mamma per dirti chi sono, uno a uno. Io non li riconosco tutti.»

 

Ora non ci sono più il rosa, l’arancio, il rosso.
È tutto scuro. Accendo una luce, una piccola.
Non mi va di stare al buio, da solo, ora che ho finito di scrivere il mio libro.
Lo intitolerò come vuoi tu, papà.
Ciao.

 

Se vuoi compiere un piccolo viaggio nel delicato mondo della relazione genitori-figli, se vuoi emozionarti, se vuoi conoscere meglio te stesso inizia a leggere “Ciao”, un libro che fa vibrare le corde dell’anima.

libro

 

 

 

 

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