Il Castello in fiamme

                             Nel cuore dell’Umbria, in una zona collinare che domina la valle del Vigi, ricca di sorgenti d’acqua, c’è un paesino, Postignano. E’ un borgo medievale racchiuso tra le mura del Castello, in cui svetta una torre esagonale che domina su tutto il paesaggio.

 

Il signore che viveva in quel Castello era un uomo molto avido, viveva isolato, l’unica persona della quale si fidava e che poteva avvicinarsi a lui, era il suo servitore, Luca. Quest’uomo, molto furbo, non condivideva il modo di fare del suo padrone e lo considerava un “vecchio pazzo”. Padrone Antonio discendeva da una nobile e facoltosa famiglia. Con il passare degli anni aveva sperperato tutto il ricco patrimonio che la sua famiglia aveva accumulato, conducendo una vita al di fuori di ogni regola.

In gioventù si recava spesso a Roma dove soggiornava nel palazzo che era la dimora dei suoi nonni, lì iniziò a condurre una vita sfrenata, e nel giro di poco tempo si circondò di personaggi poco affidabili.

La sua attrazione per la mondanità e per le belle donne in poco tempo lo portarono ad impegnare, per debiti di gioco, prima la mobilia del palazzo, poi, quando ancora era in vita la nonna materna, il palazzo stesso, che era di sua proprietà.

I suoi genitori, oltre ad essere facoltosi, erano anche molto intelligenti, avevano dedicato la loro vita allo studio e alla ricerca scientifica, una vita intensa, che avevano trascorso ad aiutare i meno fortunati di loro. L’unico grande dispiacere della loro vita era questo unico figlio che avevano avuto, che cercavano inutilmente, in ogni modo, di avviare ad una vita simile alla loro. Sin da piccolo non aveva mai dimostrato nessun interesse o inclinazione intellettuale, ne aveva mai manifestato sensibilità o predisposizione ad una attività in particolare. Lo studio lo annoiava, non lo interessava affatto, diceva che “ quella roba lì “non gli sarebbe servita a niente nelle vita, e che lui non poteva perdere tempo per quelle sciocchezze, aveva altro di meglio da fare.

Sbaglio quando dico che Antonio non aveva nessun interesse, uno ne aveva, si divertiva a fare dispetti a chi era meno fortunato di lui. Spesso i suoi genitori, che speravano di aiutarlo e di dargli il buon esempio, invitavano dei ragazzi della sua età per giocare con lui nel parco del castello. Inizialmente, quando ancora non lo conoscevano bene, i suoi coetanei facevano a gara per andare da lui, ma nel giro di pochi giorni si era sparsa la voce di quanto fosse perfido e dispettoso, che nessuno volle più la sua compagnia. Parlando con quei ragazzi, divenuti uomini, si riesce a capire quanto poco abbia ereditato Antonio dai suoi genitori, nulla riguardo ad intelletto e sensibilità, l’unica eredità che gli avevano lasciato era quel castello in cui si era ritirato e i terreni circostanti. La vita nel vecchio borgo scorreva tranquilla e serena, fino a quando Antonio aveva viaggiato da un luogo all’altro, con brevi visite, di due o tre giorni, quanto gli bastava per riempirsi le tasche. I guai iniziarono quando si rese conto che le risorse iniziavano a scarseggiare, si convinse che le persone che lavoravano la sua terra e che si occupavano dei suoi affari si stavano approfittando di lui. Fu allora che iniziò a tormentare quella povera gente che per anni aveva portato avanti tutte le attività avviate dai suoi genitori, con passione e dedizione, permettendo a lui di condurre quella vita, senza preoccupazioni di nessun genere, e avevano anche, fino ad allora, condotto una vita decorosa. Il castello era divenuto una importante sede di studi e di convegni, ai quali partecipavano i più importanti luminari. In poco tempo fece allontanare da casa sua tutta quella gente che, a parer suo arrecava solo confusione, e cercò di distruggere la fornitissima biblioteca di suo padre. Fortunatamente il servitore, conoscendo la sua avidità per il denaro, riuscì a convincerlo a vendere quei vecchi libri ad un centro studi al quale avevano lavorato anche i suoi genitori. La cosa più grave la fece quando ordinò di estirpare il vigneto che produceva un ottimo vino, che per decenni era stato il vanto di tutta la vallata. Nessuno sa perchè lo fece, ne quale fosse il suo scopo, forse lo fece solo per sbarazzarsi di un’altra delle cose a cui i suoi avevano lavorato. Le cantine del castello, con quelle enormi botti di rovere, avevano custodito un nettare prezioso, sia per il padrone che per tutta la gente della valle del Vigi. Molte erano le famiglie che avevano tratto guadagni e benefici dalla produzione di quel buon vino. Ora, solo per un capriccio di un uomo senza un minimo d’intelligenza, veniva a mancare una delle principali fonti di reddito. Il Padrone era così scostante e odioso nel suo modo di fare che si era circondato di nemici. I  ragazzi dei dintorni, figli di contadini che per anni avevano coltivato i terreni, avevano partecipato alla vendemmia, alla produzione del vino e alla cura del vigneto che ora non c’era più,  tra loro c’erano anche i figli di medici, che per anni avevano frequentato la casa di Antonio. Nessuno di loro  lo sopportava e facevano di tutto per farlo star male. Tanti erano gli scherzi che gli facevano che si convinse che quel castello fosse maledetto.

 

Conduceva una vita molto riservata, per fortuna di tutti, intanto però i contadini lavoravano duramente ed erano costretti a consegnare la metà del raccolto al padrone, che passava personalmente a raccogliere le derrate.. La gente si ammalava con facilità, soprattutto i bambini, mangiavano poco e male, non avevano il diritto neppure di imparare a leggere e a scrivere, perchè diceva che la gente quando s’istruiva non lavorava più e si montava la testa, così aveva costretto la gente del suo borgo a vivere di stenti.

I suoi magazzini erano pieni di grano e di sacchi di farina, che si deterioravano, ed erano cibo dei ratti che oramai affollavano i magazzini, mentre la povera gente moriva di fame. Non si preoccupava più neppure di vendere le scorte, non ne aveva bisogno, e neppure di metterle a disposizione per sfamare la povera gente. Persino l’asino, chiamato Ragnosterno, che il servitore usava per trasportare i sacchi, era magrissimo, si reggeva a stento, Padrone Antonio diceva che il cibo se lo doveva meritare, così Luca lo faceva mangiare di notte, quando il padrone dormiva.

Tutti erano disperati, non ne potevano più, e si raccomandavano a Luca affinché avesse parlato col suo Padrone, per convincerlo a cedere parte del raccolto al popolo, quanto bastava per assicurare una vita più decorosa.

Luca, che conosceva bene quell’avaro, sapeva che non c’era nulla da fare per convincerlo.

Decise di cacciare quel tiranno, ed escogitò un piano, pensando al fatto che padrone Antonio era convinto che il castello fosse maledetto. Una notte, mentre tutti dormivano, compreso il suo Padrone, prese un carro e trasportò fuori dal borgo tanto più grano e farina che poteva. Rientrò al Castello, nascose tutti i secchi, affinché fosse stato impossibile trasportare l’acqua, chiamata in quel luogo Abbondanza, proprio perché c’erano molte sorgenti.

Tolse tutte le lampade e le torce, poi prese oggetti di ogni genere e li dispose sul pavimento in modo da intralciare il passo, non c’era più nulla al suo posto.

Prese una torca e appiccò il fuoco ai tendaggi di un ala del castello, senza accorgersi che lì vicino dormiva il gatto Saltingroppa, la sua coda prese fuoco e iniziò a correre per tutto il castello, fino ad arrivare nella stalla in cui c’era l’asino. Il fuoco per opera del gatto si era esteso in più parti del castello, a quel punto Luca uscì e iniziò a chiamare il Padrone gridando:

 

“Alzati Padrone dai riposamenti, che Saltingroppa

ha portato l’allegria a Ragnosterno, corri con

l’abbondanza, guarda l’inciampamenti, si no

te va a foco casa con tutte le fondamenta”

.

Il Padrone sentendo le grida del suo servitore si svegliò, ma non capiva che cosa stava dicendo, vide il fuoco e iniziò a correre per il Castello alla ricerca dell’acqua, ma inciampava continuamente, non ci vedeva perché era buio e non trovava più la torcia. Arrivato in cucina non potè prendere l’acqua, perché Luca aveva nascosto tutti i secchi.

Così spaventato scappò dal Castello in fiamme, intanto il furbo Luca aveva distribuito i secchi alla gente del borgo, e tutti insieme riuscirono a spegnere il fuoco e a limitare i danni, per fortuna il raccolto era salvo.

Nessuno in quel borgo soffrì più la fame, il vecchio e avido Padrone era solo un brutto ricordo.

Da quel giorno a Postignano non ci furono più ne Padroni ne servitori.

La vita scorreva serena in quel borgo medievale, tutti stimavano Luca che era diventato il loro consigliere e la loro guida. Nel giro di pochi anni fu di nuovo impiantato il vigneto, che in breve iniziò a produrre un ottimo vino, grazie anche alla esperienza e alla passione della gente del borgo, che per anni vi si era dedicata. Luca compì anche un altro miracolo per quei luoghi, riportò a casa tutti i libri della biblioteca, e trasformò il castello in un centro studi, e convegni. Nessuno seppe più quale fu la fine di Antonio, tanta fu la sua ignoranza che mai più si fece vedere, neppure per rivendicare i suoi diritti di proprietà.

 

 

Nel blog potete trovare anche La Vittoria di Enrico, consultate l‘indice.

 

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