Una società che non aiuta le mamme a reinserirsi nel mondo del lavoro

Una società che non aiuta le mamme a reinserirsi nel mondo del lavoro.

Viviamo in una società che anziché incentivare ed aiutare le mamme a reinserirsi nel mondo del lavoro si inventa di tutto per fare si che restino a casa.

Come?

Ve lo racconto io.

Si comincia col congedo di maternità che dura appena 3/4/5 mesi dopo il parto a secondo dal momento in cui una mamma ha deciso di iniziare il congedo. I 5 mesi sono solo per le super eroine che hanno rotto le acque in ufficio e sopportato i prodromi di parto sedute alla scrivania e senza fare troppo rumore per non disturbare i colleghi.

Passato questo periodo, quando il neonato ha ancora bisogno della mamma in tutto e per tutto, tu mamma puoi decidere se:

  1. Tornare in ufficio con orario ridotto di ben 2 ore magari tirandoti il latte come una mucca e lasciando il tuo neonato alle cure di un’altra persona che nella maggior arte dei casi dovrai pagare (quindi tornare a lavorare per pagare chi cresca tuo figlio al posto tuo).
  2. Restare a casa per altro tempo ma massimo 6 mesi ricevendo ben il 30% dello stipendio.

Entrambe possibilità allettanti vero?

Non c’è problema ecco l’ultima possibilità: dare le dimissioni volontarie entro l’anno del bambino e percepire la naspi per un numero di settimane pari alla metà delle settimane lavorate nei precedenti 4 anni.

Poi il bambino crescerà e inizierà a frequentare asili e scuole materne.

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In questi casi ricordiamoci che se la mamma lavora automaticamente aumenterà l’isee e quindi il costo di questi servizi sempre quando si riuscirà ad averne accesso.

Servizi che durante l’estate non ci sono per tre mesi, ma non c’è problema se devi lavorare c’è il centro estivo che costa come una settimana alle Maldive. In pratica d’estate lavori per poter andare a lavorare.

Ma torniamo sul discorso isee. Con due stipendi l’isee aumenta. Se lavora solo una persona in famiglia invece si abbassa esponenzialmente.

Con l’isee basso si hanno sconto nelle rette degli asili, nelle refezioni scolastiche e si ha accesso a tutti i bandi comunali di sostegno alle famiglie. Il che significa un grandissimo risparmio annuale nei costi ordinari della gestione dei figli.

Non solo. Lavorando solo una persona essa avrà diritto alle detrazioni irpef per figli e coniuge a carico. E non parliamo di poche centinaia di euro, parliamo di cifre nettamente più altre.

Un esempio su uno stipendio intorno ai 19.000 annuali l’aliquota irpef annuale (cioè i soldi che verranno detratti dalla busta paga) si aggira ai 3000 euro. Nel caso in cui in famiglia si lavori in due e le detrazioni figli sono ripartite al 50% e l’aliquota irpef annuale scende a  2300 euro, c’è quindi uno sconto sulle tasse di700 euro circa.

Nel caso in cui invece lavori solo una persona, con due figli a carico al 100% e coniuge a  carico l’aliquota irpef annuale è intorno ad 800 euro con uno sconto quindi di 2100 euro circa. Soldi che resteranno in busta e nelle tasche del lavoratore e della famiglia.

Quindi se lavora solo una persona ci sono 2100 euro all’ anno in busta paga in più.

Infine ci sono gli assegni al nucleo famigliare che nel caso di più figli e con un solo lavoratore in famiglia aumentano notevolmente.

Ricapitolando se la mamma rinuncia al lavoro ha diritto a

  1. fino due anni di naspi;
  2. sconti in base all’isee che sarà ridotto;
  3. bandi comunali in base al nuovo isee ridotto;
  4. in media 2000 auro di più all’anno sulle detrazioni nella busta paga del marito;
  5. assegni familiari più alti.

Sommando queste cose praticamente un nucleo familiare monostipendio ha talmente spese in meno e sconti sulle tasse rispetto ad un nucleo familiare con due stipendi che è come se avesse il secondo stipendio senza dover contare pagare:

  1. centri estivi,
  2. baby sitter,
  3. pre scuola,
  4. post scuola,
  5. tata di emergenza in caso di influenza.

Mamme meno stressate e forse famiglie più felici.

Forse perché in tutti questi calcoli non possiamo dimenticare di cosa ne sarà della mamma non appena i figli saranno cresciuti. Quando la sua presenza sarà necessaria molto meno tempo e sicuramente in maniera diversa.

Poter dedicarsi completamente ai propri figli  è sicuramente una grande soddisfazione e senza dubbio un lavoro.

Ma, allo stesso tempo, è una rinuncia immensa alla propria indipendenza economica e morale

Senza dimenticare  che Il lavoro a maggior tasso di ingratitudine è la mamma

E fare solo la mamma è una rinuncia alla propria professionalità, e alla propria unicità. Alla propria condizione di donna oltre che di mamma.

Tanti aiuti alle mamme, alle famiglie monoreddito ma nessun aiuto alle mamme che invece non vogliono rinunciare alla propria professione.

Essere mamma lavoratrice è come una corsa ad ostacoli. Ogni giorno c’è un ostacolo imprevisto e più alto.

Ogni cosa è programmata nel minimo dettaglio senza possibilità di errore.

E io mi chiedo da anni e continuo a gridarlo: ma perché non ci sono gli stessi aiuti per le mamme lavoratrici? Perché anziché incentivarle a mollare non le si aiuta a restare?

Asili aziendali, asili a costo zero per le mamme che lavorano.

Aiuti estivi.

Flessibilità oraria e smart working.

Sono infinite le cose che si potrebbero fare ma che nessuno vuole fare.

E lo sapete il perché? Perché di fondo la nostra è una società maschilista che non lo dice apertamente ma lo dimostra nei fatti vuole le donne a casa ad accudire i bambini e basta.

E lo so bene io che lavoro e sono l’unica donna dell’ufficio.

Ma io non mollo nonostante tutto.

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Pubblicato da mammansia

Nata a Modena nel 1982, laureata in MATEMATICA. Mamma di due piccoli terremoti e lavoratrice nel campo informatico.