Questo articolo merita una doverosa premessa.
Era mio desiderio riuscire ad avere almeno un parto naturale. Non perché sono una “talebana” come mi ha definito qualcuno, ma per vivere il momento della nascita insieme al compagno. Vedere la nostra creatura per la prima volta, insieme, e poterla abbracciare ancora sporca. Per riuscire in questo ho fatto due travagli fino a dilatazione completa, ho sofferto parecchio e speravo tanto in quell’ultima spinta liberatoria.
Ma non è stato possibile ed è questo che definisco fallimento. Fallimento mio personale.
Quando parlo di fallimento quindi, sia ben chiaro che non intendo dire che tutte le donne che hanno avuto un cesareo sono delle fallite. Intendo dire che IO HO FALLITO NEI MIEI PARTI.
Queste sono le MIE emozioni. Le MIE esperienze. Il MIO personale modo di vivere i cesarei che ho subito.
Non mi sento una fallita come mamma. E vivo ogni giorno i miei figli con gioia e amore.
Porto il rammarico per quei parti quello si. Ma ogni persona ha il suo personale bagaglio di rammarichi nella vita.
E RIBADISCO CHI HA PARTORITO CON CESAREO NON è UNA FALLITA NON è QUESTO IL MESSAGGIO DELL’ARTICOLO.
Buona lettura
Il cesareo d’urgenza.Quella cicatrice che non si chiude mai del tutto.
Scusate se ancora una volta vi parlo di parto. Ma sarà la primavera, sarà il cambio di stagione, sarà il velo di tristezza che continua , nonostante passino i mesi, a velare il mio cuore oggi ho bisogno di scrivere.
Ho subito due cesarei d’urgenza. Entrambi dopo ore di travaglio.
Mi sono avvicinata al primo parto con la presunzione della primipara invincibile.
La mia testa non aveva nemmeno lontanamente elaborato la possibilità che potesse succedere qualcosa di brutto.
Mi dicevano che tutte le donne sanno partorire.
Al corso preparto la cosa mi è stata ribadita fino alla nausea.
Tutte intorno a me avevano partorito senza problemi.
La mia stessa mamma, aveva partorito, in maniera naturale, come fosse la cosa più semplice di questo mondo.
E cosi ho aspettato quel giorno con entusiasmo e impazienza.
Curiosa di conoscere i dolori, ma sopratutto impaziente di gustare il momento magico in cui la mia bambina sarebbe uscita dal mio corpo e l’avrebbero dolcemente appoggiata sul mio petto.
Immaginavo quel momento da mesi.
L’ultima potente spinta, il suo pianto.
Io, la mia bambina, il non marito in un lungo abbraccio , liberatorio.
Ma quel lungo e desiderato abbraccio non ho potuto viverlo.
Ore di dolore,di sofferenza. In tanti momenti ho creduto di non farcela.
Ma ce la stavo facendo.
Mi facevo coraggio, impaziente di abbracciare la mia tanto desiderata bambina.
Finché dopo ore, di urla pianti i suoi battiti hanno iniziato a calare e il medico ha urlato:”Facciamo un cesareo”. Io sul momento non ho realizzato. Durante il travaglio, grazie al cielo, il cervello di sconnette, quindi non capivo.
Il personale correva, mi hanno attaccato flebo, una puntura nella schiena e io non ho sentito più niente.
Non ho sentito più niente in tutti i sensi.
Anche il mio cuore era sotto anestesia.
Lei è nata e io non l’ho sentita.
Me l’hanno fatta vedere di sfuggita. Ma non ho realizzato, non ho capito. E’ stato tutto cosi veloce, confuso e assurdo.
Eppure il momento magico mi era stato rubato. E io non lo sapevo.
L’ho superata. facendomi forza sul fatto, che avrei avuto, prima o poi, un secondo figlio e questa volta non avrei fallito.
NON AVREI FALLITO SAREI STATA CAPACE DI FAR NASCERE MIO FIGLIO.
Questa volta mi sono avvicinata al parto con la presunzione di una secondipara esperta. Sapevo riconoscere i dolori e le prime ore di travaglio facevo anche la sbruffona col mio compagno: “vedi questa volta ce la faccio“.
Poi all’improvviso è precipitato tutto. Ancora una volta. Il mio castello di carte è crollato portandosi via il sogno di un parto naturale.
Del primo momento insieme al mio bambino e al mio compagno.
Mi hanno addormentata del tutto.
Mi sono svegliata dolorante e in stato confusionale. Non potevo crederci. Doveva essere un brutto sogno.
Non potevo aver fallito ancora una volta .
Non poteva essere vero.
Io che in tutto quello che faccio ci metto tutto il cuore. Io che lottando con unghie e con i denti riesco sempre a raggiungere i miei obiettivi.
Ancora una volta avevo fallito. Ancora una volta non ero stata capace di fare quello che per la maggior parte delle donne è la cosa più naturale al mondo.
Per colpa mia non avevo potuto godere del primo magico abbraccio. Quello dei sogni, quello dei film.
Sono passati 18 mesi. La cicatrice è chiusa. Ma brucia. Gli strati più profondi sono ancora aperti.
Brucia come il limone negli occhi.
A volte la guardo, guardo i miei figli e vorrei chiedergli scusa per non essere stata in grado di farli nascere come avrei desiderato.
Vorrei chiedergli scusa per il primo abbraccio mancato.
Per le lacrime di gioia che non sono potute scendere quando i nostri sguardi si sono incontrati per la prima volta, perché ero troppo stordita, addormentata, piena di farmaci. Non capivo.
Vorrei sapermi perdonare. Ma non ci riesco. Perché nonostante tutto la colpa la sento mia. Del mio corpo che ha fallito, ha ceduto.
Avete ragione quando mi dite che l’importante è che sia andato tutto bene, che loro stiano bene che io stia bene.
Si avete ragione tutti.
Ma nessuno di voi, in fondo, può capirmi veramente. Semplicemente perché non avete vissuto la mia stessa esperienza.
Perché con un parto naturale, anche se devastante, alla fine ti senti una leonessa. Hai messo al mondo tuo figlio. Ti senti invincibile.
Con un cesareo no. Non ti senti una vincente ma una vinta. Senti di non averlo messo al mondo tu, il tuo bambino.
Vinta dal caso, dalla sfortuna. Vinta dalla vita stessa che sa essere estremamente beffarda.
E voi mamme che avete subito un cesareo e non ne soffrite dico che fate bene. Che è questo il modo giusto di affrontare le cose.
Io però non ci riesco.
Ci penso, e ci ripenserò tutta la vita.
Perché la vita mi ha dato due possibilità . Le ho fallite entrambe. E non ce ne sarà una terza.
Federica
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Io ho provato esattamente la stessa cosa…sono arrivata in ospedale sorridendo, con l’adrenalina e la gioia di chi sa che sta per scalare una montagna e non pensa minimamente di doversi fermare a 100 metri dal traguardo…e invece dopo un’intera giornata passata a cambiare 1000 posizioni, a rimbalzare, a non avere più forza nelle gambe, nelle braccia, nella testa, arriva il dottore che dice: “Signora, dobbiamo farlo uscire, ma con un piccolo taglio”. Ero talmente stordita che ho collegato solo dopo essere entrata in sala operatoria il termine “cesareo” a quello che mi stava succedendo: gli infermieri che mi spogliavano, il mio compagno che veniva frettolosamente allontanato, l’anestesia iniettata negli intervalli tra le contrazioni e quel telo verde che è stato la barriera tra me e mio figlio proprio quando invece sognavo di fargli sentire il mio odore…e invece non l’ho sentito piangere e soprattutto, non l’ho visto, se non dalle foto che il mio compagno ha scattato mentre mi ricucivano…intanto guardavo l’orologio e piangevo senza avere nemmeno la forza di chiedere “Sta bene, vero?”. Certo, è nato. Sano, vivo e bello, bellissimo. E il primo ricordo che ho è quando uscita dalla sala operatoria me lo hanno messo sul seno e lui, con la sua tutina bianca, è andato da solo verso il mio seno. Quella è stata per me la sua nascita, ed è comunque un bellissimo ed indelebile ricordo. Adesso sono passati 4 anni e sono all’ottavo mese di gravidanza…ovviamente voglio partorire la sua sorellina naturalmente, o almeno provarci…e mi fa bene leggere che anche se si è stati sfortunati una volta, beh, lo si può essere ancora! A questo punto però vorrei chiederti: come mai la seconda volta non è andata?