Le parole di una mamma dopo un aborto
Aborto spontaneo. Dicono che nelle prime settimane di gravidanza possa capitare facilmente di perdere il bambino. E spesso non c’è nemmeno un motivo o un problema preciso. Capita e basta. E’ un momento talmente delicato che può succedere che qualcosa non vada come deve andare. Non oso immaginare cosa si possa provare in quei momenti.
Voglio condividere con voi le parole di una mia amica che ha appena dovuto affrontare questo momento. Dopo la gioia della scoperta della gravidanza, qualcosa è andato storto. Ed anche se era “solo” di 6 settimane (come si è sentita dire da qualcuno), il dolore c’è lo stesso. Lei voleva condividere la sua storia, anche per dare un po’ di conforto a chi ha passato la sua stessa esperienza e non sa con chi parlarne. Ed allora ho deciso di pubblicare nel mio spazio le sue parole, con la speranza che possano aiutare sia lei a superare questo momento, che chi ha dovuto o deve affrontare tutto questo.
E’ passata una settimana da quando ho subìto il raschiamento.
Mi sono chiusa a cipolla come quando uno si veste a strati in primavera perché al mattino fa freddo, poi è più caldo e la sera arriva l’umidità.
Mi sono coperta con vari indumenti: il più pesante è “ero solo alla sesta settimana” poi c’è “riproverò presto” e infine “sono cose che succedono”.
Ma poi rimane solo il dolore. Sordo. Che non si può nemmeno piangere in santa pace. La verità è che il mio bambino non nascerà mai. Non lo stringerò tra le mie braccia, non gli comprerò meravigliose tutine di ciniglia morbida e delicata, non lo allatterò ad oltranza…
Un dolore che non si può mostrare nemmeno a se stessi sempre presi da milioni di cose da fare, più importanti, più urgenti. La mia vita continua. “Non c’è battito” è l’unico pensiero fisso che ho. Che non riesco a togliermi dalla testa… seguito dal giorno dell’appuntamento in ospedale per fare il raschiamento. Perché il mio bambino era lì. Non una perdita, nessun sintomo. Me lo hanno tolto chirurgicamente senza che la natura facesse il suo corso.
Ma poi la notte chiudi gli occhi, in quell’attimo sospeso tra la coscienza e il sonno e il cuore prende il sopravvento e le lacrime scendono da sole.
Il mio bambino non c’è più.
E io voglio soffrirlo tutto questo dolore. Non voglio tenermelo dentro. E non è che se domani arriva un altro bambino allora sarà tutto a posto. I bambini non si cambiano l’uno con l’altro. Un altro figlio mi darà tante gioie ma non toglierà mai il ricordo e il dolore. L’amore poi, si sa, si moltiplica, non si divide.
L’altro giorno ho acceso una candela in chiesa. Ho pregato.
E’ un lutto a tutti gli effetti.
Anche se nessuno lo dice, che pare sia una vergogna pronunciare quelle parole: “aborto spontaneo” una delle tante macchie che si portano le donne, come quella di fare il cesareo al posto del parto naturale o quella di non poter allattare. Come se fossi una macchina rotta, una incubatrice inceppata.
Intanto il mio bambino non c’è più. Il suo cuore ha smesso di battere e anche una parte del mio.
E nulla la farà mai ripartire. Una parte di me se n’è andata insieme al mio bambino.
Quanto amore e quanta gioia ha portato in poche settimane nella mia vita e in quella del suo papà.
E già. Il dolore del papà è un’altra di quelle cose a cui nessuno pensa. E ho provato ad essere forte e a tenermi tutto dentro. Volevo essere forte per lui. E lui voleva essere forte per me. Ma non c’è forza che tenga.
Il dispiacere dopo tanta gioia è una sorta di ice bucket challenge. Non te lo aspetti e rimani pietrificato.
I vestitini di suo fratello sono rimasti lì. Nel cassetto in cui li avevo riposti. Non ho coraggio di toccarli e metterli via. Mio figlio sarebbe stato un fratello maggiore perfetto.
“E tu un figlio ce l’hai già” è stata un’altra delle cose che mi sono sentita dire. Non è che se perdi una mano ti consoli pensando che tanto ne hai un’altra. “E pensa a chi i figli non ce li ha” e io ci posso anche pensare ma questo non mi impedisce di provare dolore e nemmeno di alleviare il dispiacere. Non è che facendo lo sciopero della fame per un mese aiuto i bambini del biafra ad avere meno fame.
Cosa mi sarei voluta sentir dire?
Non lo so. Forse niente.
L’umiltà e la dignità del dolore del padre mi hanno fatto pensare a quanto fosse fortunato il mio bambino. Aveva una mamma e un papà che lo amavano pronti ad accoglierlo e un fratello maggiore eccezionale.
Mi dispiace tanto bambino mio che tu non ci sia più.
Io ti penserò sempre.
Ti ringrazio per avermi ridato la speranza e la gioia della maternità, ti ringrazio per avermi tenuto compagnia e aver fatto un pezzetto di viaggio della vita con me.
Adesso il mio viaggio prosegue e tu sarai qui, in quell’angolo di cuore che terrò al calduccio solo per te, per farci compagnia.
Ti voglio bene piccolino mio