Non opprimere i figli con l’idea della scuola

il bambino e l'idea della scuola
Il bambino e l’idea della scuola

Non opprimere i figli con l’idea della scuola

Un consiglio. Uno spunto di riflessione. Un’idea da mettere in pratica. L’idea della scuola: diventiamo genitori e magari immaginiamo già quando i nostri figli arriveranno all’università. Dentro di noi possiamo sperare che facciano un certo percorso di studi. Ma poi non è detto che sarà così.

Mia mamma mi sognava dottoressa. Ma io non mi sono iscritta a Medicina. Una mia vicina di casa sognava che il figlio si laureasse, ma lui è voluto diventare Carabiniere e ha smesso di studiare dopo il diploma.

Fin dai primi anni di scuola ci auguriamo che i nostri bambini ottengano pagelle piene di bei voti. E se questo non accade, che succede? Ho visto genitori continuare a insistere perché il figlio doveva prendere quel diploma in quella determinata scuola (quando magari il figlio avrebbe voluto fare una scuola di tutt’altro genere). Genitori convincere i figli a iscriversi dopo le medie ad una determinata scuola, perché era sicuramente il meglio per loro (senza calcolare le predisposizioni dei figli). Genitori mettere in punizione i figli per un brutto voto.

Ovviamente anche io spero che le mie figlie studieranno e che riusciranno a conseguire ottimi risultati. Ma dobbiamo ancora iniziare e, di sicuro, non posso programmare il loro futuro o gli studi che faranno. Siamo work in progress… in continuo divenire. La maestra oggi mi riempie di complimenti per la sua enorme fantasia, per la sua bravura e per il suo impegno. Ma dobbiamo ancora iniziare l’impegno vero e proprio. Il prossimo anno cominceremo e già immagino l’emozione della prima pagella.

Però mi è capitato di leggere un testo di Natalia Ginzburg, che invitava i genitori a non opprimere i figli con l’idea della scuola. E trovo che sia un testo veramente molto interessante. Uno spunto di riflessione per tutti i genitori. Magari leggetelo anche voi e ditemi che ne pensate…

Non opprimere i figli con l’idea della scuola

Al rendimento scolastico dei nostri figli, siamo soliti dare un’importanza che è del tutto infondata. E anche questo non è se non rispetto per la piccola virtù del successo. Dovrebbe bastarci che non restassero troppo indietro agli altri, che non si facessero bocciare agli esami; ma noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio. Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la bandiera del malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta un’offesa. Allora i nostri figli, tediati, s’allontanano da noi. Oppure li assecondiamo nelle loro proteste contro i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d’una ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni.

In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin dal principio dovrebbe esser chiaro che quello è un suo campo di battaglia, dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e illusorio. E se là subisce ingiustizie o viene incompreso, è necessario lasciargli intendere che non c’è nulla di strano, perché nella vita dobbiamo aspettarci d’esser continuamente incompresi e misconosciuti, e di essere vittime d’ingiustizia: e la sola cosa che importa è non commettere ingiustizia noi stessi. I successi o insuccessi dei nostri figli, noi li dividiamo con loro perché gli vogliamo bene, ma allo stesso modo e in egual misura come essi dividono, a mano a mano che diventano grandi, i nostri successi o insuccessi, le nostre contentezze o preoccupazioni. È falso che essi abbiano il dovere, di fronte a noi, d’esser bravi a scuola e di dare allo studio il meglio del loro ingegno. Il loro dovere di fronte a noi è puramente quello, visto che li abbiamo avviati agli studi, di andare avanti.

Se il meglio del loro ingegno vogliono spenderlo non nella scuola, ma in altra cosa che li appassioni, raccolta di coleotteri o studio della lingua turca, sono fatti loro e non abbiamo nessun diritto di rimproverarli, di mostrarci offesi nell’orgoglio, frustrati d’una soddisfazione.

Se il meglio del loro ingegno non hanno l’aria di volerlo spendere per ora in nulla, e passano le giornate al tavolino masticando una penna, neppure in tal caso abbiamo il diritto di sgridarli molto: chissà, forse quello che a noi sembra ozio è in realtà fantasticheria e riflessione, che, domani, daranno frutti.

Se il meglio delle loro energie e del loro ingegno sembra che lo sprechino, buttati in fondo a un divano a leggere romanzi stupidi, o scatenati in un prato a giocare a football, ancora una volta non possiamo sapere se veramente si tratti di spreco dell’energia e dell’impegno, o se anche questo, domani, in qualche forma che ora ignoriamo, darà frutti. Perché infinite sono le possibilità dello spirito.

Ma non dobbiamo lasciarci prendere, noi, i genitori, dal panico dell’insuccesso. I nostri rimproveri debbono essere come raffiche di vento o di temporale: violenti, ma subito dimenticati; nulla che possa oscurare la natura dei nostri rapporti coi nostri figli, intorbidarne la limpidità e la pace. I nostri figli, noi siamo là per consolarli, se un insuccesso li ha addolorati; siamo là per fargli coraggio, se un insuccesso li ha mortificati. Siamo anche là per fargli abbassare la cresta, se un successo li ha insuperbiti. Siamo per ridurre la scuola nei suoi umili ed angusti confini; nulla che possa ipotecare il futuro; una semplice offerta di strumenti, fra i quali forse è possibile sceglierne uno di cui giovarsi domani.

Quello che deve starci a cuore, nell’educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno l’amore per la vita, né oppresso dalla paura di vivere, ma semplicemente in stato d’attesa, intento a preparare se stesso alla propria vocazione. E che cos’è la vocazione di un essere umano, se non la più alta espressione del suo amore per la vita?

Natalia Ginzburg, Le piccole virtù (pubblicato originariamente su “Nuovi Argomenti” nel 1960)

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