Ci avete mai pensato se come nelle favole, gli oggetti potessero parlare e raccontare tutto quello che vedono? Io spesso. Ok, i cartoni animati di oggi mi danno una mano, ma è un pensiero che avevo anche prima di diventare mamma.

Mi succede quando di sera raccolgo i giochi sparsi per il pavimento e penso all’omino delle Costruzioni che potrebbe raccontare che si è visto lanciare per una missione spaziale da Giacomo, ricoprire di pasta modellabile da Aurora ed è lì sdraiato quasi a riposarsi dopo le fatiche della giornata.

Mi succede quando mi agito per l’armadio dei giochi incasinato e per poco non lo sento parlarmi e rassicurarmi che tutto quel disordine ha un perché. Che quel gioco è storto perché quel giorno non avevo dormito e l’ho scaraventato, che le costruzioni sono tutte sparpagliate perché quella sera abbiamo riso così tanto che si era fatto tardi e siamo andati a letto alla svelta; che i pezzettini di tempera secca sulle sue mensole, sono quelle dei disegni piegati di quel giorno che Giacomo aveva due anni e stava fermo solo quando dipingeva, due e mezzo quando usai tutti i cartoncini come carta da regalo per Natale e poi anche di Aurora – e che allora ho cominciato a scriverci su il nome oltre alla data, per ricordarmi anche tra 30 anni di chi siano. Sento lo scatolone dei pannoloni, riciclato come porta camion, ringraziarmi del fatto che non viene più utilizzato come macchina da Giacomo, anche se ne porta ancora i segni addosso. E poi vedo tutte le scatole dei puzzle, con gli angoli consumati dalle volte che li abbiamo aperti e chiusi che mi sussurrano “ricordi quella volta che eri incinta e in terra ci stavi scomodissima e provasti a ricompormi sul divano con esito terribile? E quella volta che Aurora quasi rompeva (ciucciandolo) un pezzo di quello preferito da Giacomo? E Sai che ci hanno calpestato tante volte quattro piedini e coperti di saliva, moccio e briciole?”

Ma l’oggetto che potrebbe parlarmi più di tutti, è senz’altro il loro passeggino. Quello leggero che si usa dopo quello del trio per intendersi. Ecco lui, potrebbe fare un monologo e dirmi:

“Cara Giulia ricordo quando per la prima volta ospitai un fagottino di poco più di un anno e ascoltai tu e il papà, fare discorsi su come fossi leggero e pratico. Dopo un giro di prova mi portaste da tutte le parti. Ho visto il bagagliaio di tre auto, e riconoscevo il tuo umore da come mi ci caricavi sopra. Mi hai portato sulla spiaggia, sui sassi, sui prati e sull’asfalto e piano piano quel fagottino cresceva. Ricordo quanto dovevo essere forte quando nelle crisi dei terribili due, inarcava la schiena per non salire e come dovevo essere morbido durante i suoi pisolini. Ricordo le corse pazze col papà nei corridoi dell’ospedale, mentre aspettavi di ritirare le analisi della gravidanza e poi ricordo di essere stato rimesso nella mia scatola. Poi fuori di nuovo e sta volta il fagottino era di una bimba. Mi avevate attaccato una pedana al telaio ed ecco che alle mie spalle vedevo anche l’ex fagottino. Cominciava ad essere dura lo sai? Sentivo le chiacchierate di Giacomo, le tue risate e i tuoi rimproveri, i gorgheggi di Aurora. Ho visto tantissime cose: i carri di carnevale e milioni di coriandoli, la spiaggia, la pioggia ed il vento, l’asilo di Giacomo, un sacco di case diverse, di ristoranti, di negozi, regioni diverse… e l’ambulatorio del pediatra. Ho ospitato ed ospito su di me miliardi di briciole, chili di sabbia, molteplici macchie. Quando andiamo al mare, ti aiuto con la tavola da surf ed il canotto, per non parlare delle gite fuori porta con mille mila borse. L’ex fagottino ormai non sta più sulla pedana e la fagottina ha già due anni. Tra poco, tornerò nella mia scatola, magari per essere riaperto da qualcuno che ha bisogno di me. Ma sappi, che nei secoli dei secoli, quando mi rivedrai in foto, penserai a tutta la strada che abbiamo fatto, a quante volte hai stretto i miei manici, con tutte le temperature e tutti i sentimenti del mondo e soprattutto, a tutte le esperienze fatte coi tuoi figli.”

E così, forse per i 37 che hanno dato inizio alla demenza senile, o forse per il cambio di ora non ho ancora metabolizzato, passo una sera di novembre, a scrivere di un mondo immaginato in cui gli oggetti vedono, parlano e raccontano.

E sarò pazza. Ci sta.

Però se vero che nella realtà gli oggetti non hanno anima, i ricordi ce l’hanno eccome.

 

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