Month: Agosto 2017

Una volta ero puntuale. Gli orari dopo i figli.

| orari ritardo, Senza categoria

Quando mi danno un appuntamento e aggiungono “Poi casomai se ritardo ti avviso”, dentro di me, reagisco sempre con la fatica e la solitudine di un’anticipataria incallita.

Andando indietro nel tempo, ricordo di essere diventata ossessionata dagli orari alle medie.

Alle elementari mia madre mi portava allo scoccare della campanella, ma alle medie no, dovevo arrivare molto prima, “per acclimatarmi” – dicevo.

Da quando avevo 11 anni quindi, ho trascorso infiniti minuti da sola ad aspettare, cercando visi amici tra la folla, nel vuoto, per strada.

Nella vergogna di farmi vedere impaziente, mi dicevo che non l’avrei più fatto, ma né me stessa, né le prese in giro di amici e parenti, sono mai riusciti a farmi arrivare non dico in ritardo, ma per lo meno puntuale.

Poi è nato Giacomo.

E non potevo “avvantaggiarmi” su tutto e poi partire all’ora stabilita. No. Lo sapete che con i neonati non ci sono orari. E non ci sono neanche a un anno o a due direi. Perché sta dormendo, perché sta mangiando, perché si è appena svegliato e fuori è un freddo cane e non vuoi farlo uscire accaldato. E bla bla bla.

Figuriamoci con due bambini. La pipì del maggiore, la popò della minore, la fine del cartone del grande e il peluche che non si trova della piccola. All’inizio mi sembrava di essere uno di quegli artisti del circo che devono muovere continuamente i piatti sul bastone, per farli stare in equilibrio. Perché spesso, dopo aver provveduto a tutte le necessità, a Giacomo scappava di nuovo la pipì. E il giro ricominciava.

Per restare al passo cominciai a fare prima prima prima, tutto quello che mi riguardava con il risultato che all’ora di uscire ero conciata come se fossi stata reduce da una maratona con 40°.

Ma con questo sistema, niente. Non ce la fai. Perché quello che devi fare “all’ultimo momento”, con due bambini, non riesci a farlo nell’ultimo momento. Te ne servono minimo sei.

E arrivi in ritardo.

I primi tempi soffrivo tantissimo perché non arrivare in orario, l’avevo sempre considerato una mancanza di rispetto verso l’altro. Poi ho capito che un cambio pannolino non può essere considerato tale.

E piano piano mi sono abituata. I bimbi crescono, io mi sono plasmata su di loro ed ho trovato delle strategie.

Oggi riesco quasi sempre ad essere puntuale.

Non più anticipataria.

E scrivendo questo articolo mi accorgo di come i figli riescano a farti cambiare in meglio, a sradicare da te, ansie ed ossessioni che vivono dentro alla tua mente da anni, minimo da 26.

 

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Acquisti di stagione: c’è sempre una mamma avanti a te.

| acquisti di stagione, Senza categoria, vestiti

Ansia da cambio di stagione ne abbiamo?

Io molta. Mi sembra ieri che facevo la figa perché avevo fatto il cambio di vestiti, che tra poco già dovrò rifarlo.

Odio il freddo e sto cominciando ad andare in depressione autunnale. Sommato a questo sono una persona programmatrice ed ansiosa che se non si desse una regolata, avrebbe già fatto un foglio di Excel con vestiti, quantità e taglie necessarie.

E quindi immaginate l’angoscia quando tu sei lì, che ti stai levando la sabbia dai polpacci e qualche mamma ti chiama e ti dice:

“Ah sai il nostro negozio preferito? Ha già messo fuori tutto e tante taglie non si trovano già più!” Più???? Io vado ancora in giro in infradito e TU negozio, hai già finito alcune taglie di felpe??? Naaaaaa.

Oppure:

“Tu hai finito di fare acquisti?” Finito???? Non ho neanche cominciato! L’estate è corta e la mia mente vuole gustarsela fino in fondo!

O altrimenti:

“Hai comprato i grembiuli, lo zainetto e pure la cornice per mettere la foto dell’ultimo giorno di scuola del 2020?” Hai voglia! Ho anche già comprato il completo da mettermi per festeggiare la terza media di Giacomo. Ma per favore!

Per me è ancora estate e voglio parlare solo di caldo, mare, abbronzatura e caldo. Infradito, costumi, caldo, sudore e caldo. Ah, caldo l’ho già detto?

E invece c’è sempre una mamma avanti a te che ha già comprato anche i paraorecchie col pelo.

Che ha già comprato, lavato e stirato i vestiti per il giorno di Natale.

Che ha acquistato i calzini corti per fine agosto, medi per settembre, lunghi per ottobre e caldo cotone per novembre.

E quando tu, un anno, complice una vacanza in montagna a settembre, fai la splendida perché hai comprato le magliette termiche, rassegnati.

Ci sarà sempre una mamma avanti a te, che avrà comprato anche i pantaloni!

 

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Mamme non colpevolizziamoci!

| allattamento, colpa, mamme, Senza categoria

Non dobbiamo sentirci troppo in colpa.

Lo leggiamo da ogni parte, lo sentiamo dire da tutti, eppure, ci caschiamo sempre.

Da quando stringiamo tra le mani il test positivo, chi più chi meno, cominciamo a sentirci in colpa.

Quando siamo incinte e vomitiamo anche l’anima, perché abbiamo mangiato quattro piatti di trippa di nonna Rita, o perché per l’orgoglio di non farci aiutare dalla commessa, ci siamo portate sei bottiglie di acqua minerale per mille mila metri.

In colpa, se desideriamo ardentemente il cesareo, l’epidurale o una pillola che rende il bimbo microscopico solo per uscire e poi tornare sui tre chili.

In colpa, perché varie volte pensiamo di aver fatto una cazzata.

In colpa, perché abbiamo deciso di far nascere qualcuno. Egoismo???

Poi nasce.

Ed allora se non lo amiamo CuoreAmoreSole loveloveyou subito, ci sentiamo merde.

Se non lo allattiamo non ne parliamo.

Se lo allattiamo a richiesta figuriamoci.

Se lo svezziamo tradizionalmente, antiquate!

Pazze fuori di testa se autosvezziamo.

Almeno quando dorme siam tranquille? Seeeeeeeeee! Se dorme poco che avrà, se dorme TROPPO (!), che avrà! Ma poi dove. Culla? Ahhhhhh! Lettone??? Ahhhhhh!

AMMAZZA CHE FATICA

Per esempio io mi son sentita in colpa per anni, per una brutta eruzione che ha avuto Giacomo in viso. Nonostante il pediatra mi dicesse di no, mi ero fissata che dipendesse dal latte artificiale e stavo male per non averlo allattato.

Poi è nata Aurora. Stessa eruzione. Peccato che la allattassi al seno. Quindi il latte artificiale non c’entrava nulla.

Ho avuto due esperienze diverse come allattamento e quindi ho avuto una “risposta”.

E mi si è accesa quindi la lampadina di come spesso sprechiamo energia e momenti che potremmo trascorrere serene, per angosciarci.

Insomma mamme, dovremmo volerci un po’ più bene. A noi stesse e l’un l’altra.

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Come sopravvivere ad una giornata al mare. Parte 2: abitare al mare 0-6 mesi.

| mamme, mamme al mare, neomamme, Senza categoria

Rieccomi per la seconda parte su come sopravvivere ad una giornata al mare, ma questa volta con bambini dagli zero ai sei mesi. Sempre spiaggia di sabbia e stabilimento balneare! Più che per chi va in vacanza (che avrà letto 3654 libri durante la gravidanza per avere il coraggio di partire con un neonato), mi rivolgo a chi ha appena partorito o sta per farlo e abita al mare. Sempre cose che mi avrebbe fatto piacere avessero detto a me, senza voler fare la mamma perfetta o la Sotuttoio.

LA REGOLA D’ORO: In questo caso la regola d’oro è non esagerare. Perché un neonato è mooooolto più sensibile di un bimbo. E Si stanca moooooolto più facilmente di un bambino. Quindi poche ore si rivelano un toccasana per poi passare il resto della giornata rilassati e non innervositi. Nel caso in cui il neonato sia il fratello o sorella minore, bisognerà sforzarsi di andare incontro alle esigenze dell’uno e dell’altro con le buone e care “vie di mezzo”. Come svegliare un po’ prima il grande per arrivare al mare presto, o attrezzare una zona fresca e quieta per il pisolino del piccino. Nel mio caso è servito per evitare di avere un fratellone insoddisfatto e una sorella isterica.

Soluzione alternativa. Mi è capitato di agitarmi spesso quando avevo Giacomo piccolo, per l’ansia di non riuscire a mantenere i suoi orari o di dover fare tutto di fretta. Con Aurora ho poi imparato che conviene crearsi delle alternative piuttosto che scapicollarsi per rispettare il piano originario. Se per esempio vostro figlio sta facendo un super pisolino al fresco, in caso abbiate pensato ad un eventuale spuntino di latte o di frutta, potrete trattenervi senza stress…tanto noi mamme mica mangiamo, giusto?!?

Il finto bagnetto: Per il punto precedente avete slittato gli orari e si avvicina l’ora del pisolino mentre state andando a casa? Portatevi un body pulito e mettete la famosa bottiglia di acqua scaldata al sole: potrete improvvisare un risciacquo fresco che potrà per lo meno togliere “l’appiccicaticcio” del caldo e della crema solare e permettervi di rimandare il vero e proprio bagnetto a più tardi.

Fuori categoria: pensiamo alla mamma! Sia che allattiate o no e sia se avete ancora perdite o no, portatevi tanta frutta e tanta acqua! Pensiamo sempre ai cuccioli, ricordiamoci anche di noi stesse!

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Come sopravvivere ad una giornata al mare. Parte 1: in vacanza 2-6 anni.

| mamme al mare, Senza categoria

Care mamme che vivete in città,

se state per andare, o siete in vacanza al mare, vi suggerisco qualche trucchetto per sopravvivere ad una giornata tipo. Spiaggia di sabbia e stabilimento balneare con uno o più bambini dai tra i 2 ed i 6 anni.

Vivo al mare ed ho pensato che se ho trovato sollievo io che sono bradipa, voi che siete “normopigre”, potrete tornare dal mare e non desiderare di svenire lì, subito, così su due piedi.

Infatti, data la mia pigrizia, nel corso degli anni, ho affinato delle tecniche che mi hanno agevolata parecchio. Ed allora ho pensato a voi che avete a disposizione solo pochi giorni per prendere la mano con questo stile di “vita”.

Se funzionano? Sappiate che per sei ore di fila, io, oltre che stare al mare, riesco solo a dormire!

LA REGOLA D’ORO: vi ricordate quando al corso pre parto dicevano che le contrazioni sono come le onde del mare? Che per non venirne sopraffatte bisognava assecondarle? Ecco, il concetto è quello: la vita di mare va assecondata. Bisogna tornare bambini, istintivi, naturali e rilassati!!!! (Utopia con i bambini?!!!). Abbandonate l’idea del capello bello pettinato che si arruffa, della sabbia che fa prurito, della salsedine che secca la pelle. La vacanza al mare va vissuta tuffandocisi dentro nel vero senso della parola. Facendosi inondare da sole, sale, sabbia e conchiglie. In questo modo il mare vi rigenererà invece che stancarvi e vi renderà fortissimamente appagate. Questo lo penso in generale, ma con dei bambini vale ancora di più. Come tornare a casa senza essersi almeno una volta “impanate” nella sabbia, fatto buche e castelli giganti e corse in mare con tuffo a bomba?

Ritmo: un altro trucchetto è quello di cercare di avere ogni giorno più o meno gli stessi orari. Primo perché potrete organizzarvi mentalmente per il giorno successivo, secondo perché ai bambini di solito da’ stabilità e sicurezza avere una routine e se non a loro, al loro intestino di sicuro!! Vi eviterete così cambi estremi in riva al mare o mal di pancia fastidiosi.

Giochi: pensate a mille mila possibilità di gioco perché al mare, ogni giorno è diverso dall’altro. Ci sono bambini diversi, il mare può essere mosso o calmo, possono esserci secche, un gran vento o semplicemente un gran caldo. Quindi pensate a varie cose, dalle più sedentarie da fare sotto l’ombrellone (classici palette e secchielli, carte, materiale per disegnare, bocce, giochi di fantasia…) e quelle da fare sulla riva e in acqua (un pallone che è un evergreen,racchettoni, retini per le conchiglie,vari oggetti per giocare con l’acqua come annaffiatoi, spruzza acqua, pistole ad acqua e visto che in molti stabilimenti è possibile utilizzare un compressore, un gonfiabile. Vado contro tendenza ed invece dei fenicotteri rosa, vi suggerisco il buon caro vecchio canotto che può essere usato in mare o come piscinetta sotto l’ombrellone).

Gustatevi il tempo: per quanto possibile, contrariamente a quanto facciamo nella vita di tutti i giorni, evitate di interrompere la quiete per proporre qualcosa: se ad esempio dopo 345 volte che i vostri figli hanno chiesto quanto mancasse a fare il bagno e all’ora presunta stanno facendo un castello tranquilli e beati, shhhh! Lasciate correre. Esaurire la voglia di fare qualche gioco, insegnerà loro a godersi appieno ogni momento e li aiuterà a non “sovreccitarsi” che è il rischio più comune per i bambini non abituati al mare.

TRUCCO EXTRA FUORI CATEGORIA: appena arrivate, riempite un secchiello o una bottiglia con l’acqua della doccia e lasciatela al sole. Vi potrà servire per levare la sabbia dal sederino dei più piccini senza tragedie per il freddo, o per sciacquare i costumi. Ah…e per la sabbia negli occhi o in bocca che capita almeno una volta al giorno!

Ovviamente questi sono stratagemmi che ho fatto miei e che vi passo con il beneficio del dubbio,senza voler essere verità assoluta.

Buon mare a tutte!

 

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Se non è latte è cacca

| cacca, Senza categoria

Se non è latte, è cacca.

No, non è una rivisitazione del detto “se non è zuppa è pan bagnato”, ma il riassunto delle chiacchiere tra neo mamme.

Dite che non è vero.

Ed è vero perché quando si torna a casa con quel bambolottino vivente, le uniche due certezze che abbiamo, sono che debba mangiare e fare popò (perché ahimè dormire può essere un optional).

Ma qui casca l’asino! Perché non tutti i bimbi sono uguali e quindi non si procede per tutti i bambini allo stesso modo. Ed allora, cominciano i dubbi amletici e le ansie più assurde amplificate dallo stravolgimento della vita, dalla mancanza di sonno e persino dall’andatura paperiana per i punti.

Di latte ne abbiamo già parlato più volte.

Quindi, per vostra felicità, parlerò di cacca.

Quando sono diventata mamma per la prima volta, tra le 1000 e uno mila paure e angosce, quella della popò sinceramente non c’era.

La consideravo una cosa che non dipendeva da me, che succedeva e basta.

Cominciai ad avere qualche intuizione sentendomi domandare dal personale sanitario, con quella che per me era una curiosità esagerata, se il piccolo aveva fatto popò; ma ebbi la certezza alle dimissioni:

“Mi raccomando non devono passare più di ventiquattro ore tra una popò e l’altra.”

VENTIQUATTROOREEEEE VENTIQUATTROOOOOOOO OREEEEEEEEE.

Ed improvvisamente, vi sentirete catapultate in un villaggio africano, giurerete di aver visto il pediatra con segni di pittura sul viso e l’osso infilzato nel naso – e in sottofondo udirete musiche tribali.

“Ricorda che l’erede dovrà espletare le sue funzioni non dopo lo scoccare della ventiquattresima ora altrimenti i pianeti perderanno il loro allineamento e solo un sacrificio a Re Sondinox potrà riportare la pace nel villaggio”

Trad: se tuo figlio non caca per più di un giorno, devi sudare 7 camicie per avere il coraggio di fargli il sondino dopo che avrà pianto come un disperato per ore.

E così, da un giorno all’altro, sul vostro frigorifero, accanto alla lista delle tonalità di smalto che vi donano di più, apparirà quella con data e orario delle popò di vostro figlio.

Oltre a ciò, imparerete a classificarle con una scala Likert a cinque punti:

Bellissima

Bella (Che ancora mi viene difficile capire come una cacca possa essere bella o addirittura bellissima, eppure l’ho detto svariate volte anche io!)

Bruttina

Sciolta

Diarrea

E se vostro figlio si sintonizza spesso negli ultimi due punti, potrete aspirare a diventare azioniste dei pannoloni “Cacatantocacaben”.

Affinerete le tecniche più estreme di cambio pannolino e di salvaguardia dei body dallo straripamento, con la presa in braccio “Antisplat”.

E allora care non mamme o mamme di vecchia data che ormai parlate solo di asilo, tecniche di pittura e giochi educativi, abbiate pietà delle povere neomamme che parlano solo di cacca!

 

 

 

 

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Se gli oggetti potessero parlare

| Mamma Bradipa tenera, Senza categoria

Ci avete mai pensato se come nelle favole, gli oggetti potessero parlare e raccontare tutto quello che vedono? Io spesso. Ok, i cartoni animati di oggi mi danno una mano, ma è un pensiero che avevo anche prima di diventare mamma.

Mi succede quando di sera raccolgo i giochi sparsi per il pavimento e penso all’omino delle Costruzioni che potrebbe raccontare che si è visto lanciare per una missione spaziale da Giacomo, ricoprire di pasta modellabile da Aurora ed è lì sdraiato quasi a riposarsi dopo le fatiche della giornata.

Mi succede quando mi agito per l’armadio dei giochi incasinato e per poco non lo sento parlarmi e rassicurarmi che tutto quel disordine ha un perché. Che quel gioco è storto perché quel giorno non avevo dormito e l’ho scaraventato, che le costruzioni sono tutte sparpagliate perché quella sera abbiamo riso così tanto che si era fatto tardi e siamo andati a letto alla svelta; che i pezzettini di tempera secca sulle sue mensole, sono quelle dei disegni piegati di quel giorno che Giacomo aveva due anni e stava fermo solo quando dipingeva, due e mezzo quando usai tutti i cartoncini come carta da regalo per Natale e poi anche di Aurora – e che allora ho cominciato a scriverci su il nome oltre alla data, per ricordarmi anche tra 30 anni di chi siano. Sento lo scatolone dei pannoloni, riciclato come porta camion, ringraziarmi del fatto che non viene più utilizzato come macchina da Giacomo, anche se ne porta ancora i segni addosso. E poi vedo tutte le scatole dei puzzle, con gli angoli consumati dalle volte che li abbiamo aperti e chiusi che mi sussurrano “ricordi quella volta che eri incinta e in terra ci stavi scomodissima e provasti a ricompormi sul divano con esito terribile? E quella volta che Aurora quasi rompeva (ciucciandolo) un pezzo di quello preferito da Giacomo? E Sai che ci hanno calpestato tante volte quattro piedini e coperti di saliva, moccio e briciole?”

Ma l’oggetto che potrebbe parlarmi più di tutti, è senz’altro il loro passeggino. Quello leggero che si usa dopo quello del trio per intendersi. Ecco lui, potrebbe fare un monologo e dirmi:

“Cara Giulia ricordo quando per la prima volta ospitai un fagottino di poco più di un anno e ascoltai tu e il papà, fare discorsi su come fossi leggero e pratico. Dopo un giro di prova mi portaste da tutte le parti. Ho visto il bagagliaio di tre auto, e riconoscevo il tuo umore da come mi ci caricavi sopra. Mi hai portato sulla spiaggia, sui sassi, sui prati e sull’asfalto e piano piano quel fagottino cresceva. Ricordo quanto dovevo essere forte quando nelle crisi dei terribili due, inarcava la schiena per non salire e come dovevo essere morbido durante i suoi pisolini. Ricordo le corse pazze col papà nei corridoi dell’ospedale, mentre aspettavi di ritirare le analisi della gravidanza e poi ricordo di essere stato rimesso nella mia scatola. Poi fuori di nuovo e sta volta il fagottino era di una bimba. Mi avevate attaccato una pedana al telaio ed ecco che alle mie spalle vedevo anche l’ex fagottino. Cominciava ad essere dura lo sai? Sentivo le chiacchierate di Giacomo, le tue risate e i tuoi rimproveri, i gorgheggi di Aurora. Ho visto tantissime cose: i carri di carnevale e milioni di coriandoli, la spiaggia, la pioggia ed il vento, l’asilo di Giacomo, un sacco di case diverse, di ristoranti, di negozi, regioni diverse… e l’ambulatorio del pediatra. Ho ospitato ed ospito su di me miliardi di briciole, chili di sabbia, molteplici macchie. Quando andiamo al mare, ti aiuto con la tavola da surf ed il canotto, per non parlare delle gite fuori porta con mille mila borse. L’ex fagottino ormai non sta più sulla pedana e la fagottina ha già due anni. Tra poco, tornerò nella mia scatola, magari per essere riaperto da qualcuno che ha bisogno di me. Ma sappi, che nei secoli dei secoli, quando mi rivedrai in foto, penserai a tutta la strada che abbiamo fatto, a quante volte hai stretto i miei manici, con tutte le temperature e tutti i sentimenti del mondo e soprattutto, a tutte le esperienze fatte coi tuoi figli.”

E così, forse per i 37 che hanno dato inizio alla demenza senile, o forse per il cambio di ora non ho ancora metabolizzato, passo una sera di novembre, a scrivere di un mondo immaginato in cui gli oggetti vedono, parlano e raccontano.

E sarò pazza. Ci sta.

Però se vero che nella realtà gli oggetti non hanno anima, i ricordi ce l’hanno eccome.

 

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Ci penserà la musica

| famiglia, Senza categoria

Fin da quando  mi sono messa insieme al mio attuale marito, ho sempre pensato al futuro. Al godermi il presente, ma per gettare le basi di quello che da subito abbiamo fantasticato: una famiglia.

musica

Prima ero concentrata sul matrimonio, poi sull’arrivo di Giacomo e con lui pensavo già che tutte quelle cose avrei dovuto farle una seconda volta, perché eravamo sicuri di desiderare due bambini. Con l’arrivo di Aurora, eravamo finalmente giunti al punto che ci eravamo prefissati e via a ripercorrere le tappe canoniche di gravidanza, parto, allattamento, svezzamento, primi passi e prime parole.

Quando eravamo fidanzati, i nostri discorsi finivano sempre a farci gongolare al pensiero di quando i nostri bimbi, che ancora erano solo nei nostri sogni, avrebbero giocato insieme. Era quello il nostro arrivo inconscio, quello per cui ci impegnavamo tutti i giorni.

Ed ora ci siamo arrivati. Seppure Giacomo sia sempre stato un fratello molto riservato, nel senso che sua sorella non la importunava e non la coccolava – non se la filava proprio. Da qualche mese invece, giocano ad acchiappino, a nascondino, a ballare insieme, a fare la battaglia coi camion.

Non ho mai capito chi mi diceva che era meglio quando i loro figli erano neonati, quando avevano un anno o due. Ho sempre pensato che ogni momento sarebbe stato bello e come ha sempre detto mia mamma: “Ogni giorno passato è un giorno guadagnato”.

Ma sorprendendomi, ora che i bimbi hanno 5 e 2 anni, mi trovo a pensare che vorrei che il tempo si fermasse.

Perché mentre  mi sciolgo a guardarli, adesso che sono arrivata a destinazione e potrei godermi “la vacanza”, una vocina malefica mi dice di ascoltare il ticchettio dell’orologio, che tra un po’ non avrò più nessuno da coccolare, sbaciucchiare e amare nel modo in cui l’ho fatto fino ad ora.

E allora che ci posso fare? Son nata citrulla e continuo ad esserlo. Perché invece che assaporare gli attimi, penso a quando non ci saranno più.

Penso a quando Giacomo non mi dirà più “Mamma ti metti qui sul divano accanto a me e mi gratti i piedi?” o ad Aurora che non vorrà più venire nel lettone.

Giacomo comincerà a pulirsi la guancia dopo un mio bacio ed Aurora non vorrà più giocare a contare le dita.

Un bel giorno Giacomo mi risponderà scocciato “O mamma!” invece che con il suo tenero “okkeiiii” e Aurora smetterà di seguirmi di stanza in stanza dicendomi ogni volta “Ciao mamma!”

Poi ieri, dopo cena, alla tv passano Somebody to love dei Queen. Mi è sempre piaciuta da morire, ma era una vita che non la sentivo.

E niente, mi son messa a cantare e a ballare come una scema. Con tanto di telecomando come microfono, brividi e di figli che mi guardavano male.

Quella canzone è del 1976. 41 anni ragazzi.

L’hanno scritta quando non ero ancora nata ed è sempre viva di emozioni come se fosse giovanissima.

41 anni e una neo 37enne la balla e la canta come un’adolescente fa con la hit dell’estate.

Ed allora ho pensato ad una cosa: che se una canzone ha potuto fare questo in me, può farlo in tutti noi. Pure in tutti voi.

E che se il tempo cambia le cose, ci penserà la musica a riportarle all’origine almeno per due minuti e mezzo. Che se saremo in mezzo a conflitti generazionali, in cui i nostri bimbi cresciuti sembrerà che non ci amino più, ci penserà la musica.

E che se tra 10, 20 o 41 anni avremo bisogno di sentirci famiglia come oggi, mentre non esiste vergogna o privacy, basterà accendere lo stereo e ascoltare. Basterà solo un po’ di musica trascinante e son convinta che nei nostri occhi, torneremo tutti bambini, che le paturnie da adolescenti e da preadolescenti, svaniranno per qualche minuto e che così capiremo che seppure in modo diverso, nelle nostre quattro mura  troveremo per sempre qualcuno da amare, o per meglio dire, somebody to love.

 

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Gli anni passano, i figli crescono e le mamme invecchiano.

| compleanni, Senza categoria

Gli anni passano, i figli crescono e le mamme invecchiano. Questa frase l’ho sentita dire un mucchio di volte. Da mia nonna, da mia mamma e da un paio d’anni anche da me stessa. Non l’ho mai considerata triste o malinconica. Anzi. Mi faceva ridere perché consideravo la vecchiaia una cosa lontana anni luce sia da mia nonna prima, che da mia mamma poi.

E oggi mi fa sorridere sentirla anche da me perché a 37 anni me ne sento al massimo 25 e tanto per intendersi,non sto invecchiando, continuo semplicemente a crescere.

In ogni modo, il bilancio sarebbe d’obbligo, ma diciamoci la verità, un po’ scontato e palloso. Anche perché se per la 34526 volta vi scrivo che sono felice, sono bradipa e ho una famiglia bellissima, comincerò a starvi simpatica come il brufolo in fronte al primo appuntamento.

Ed allora vi schiocco un bel post nostalgia! Eddaiiii che il primo di agosto siete tutte infatuate da onde, spiagge, tramonti e company. (O così stressate dal caldo che la lacrima è in pole position).

Ed allora mettetevi una bella colonna sonora romantica e andate indietro nel tempo, ai vostri compleanni. Ai vostri compleanni lontani migliori.

I miei compleanni lontani migliori, sono quelli delle elementari. Le mie elementari non hanno avuto niente di bello, tranne Baby Mia, l’avvento della penna rossa per poter scrivere “Tema” e “Problema” e ad agosto, i miei compleanni. Che non erano più da bimba piccola e non ancora da ragazzina. Erano nel pieno della “bimbosità” e gioia di vivere.

Figlia unica, nata in estate, abitante di una casa con giardino –  il mio compleanno era un evento cui cominciavo a pensare più o meno a Santo Stefano quando passavo da “Quanto manca a Natale?” a “Quanto manca al mio compleanno?”.

Quello che mi piace da morire, è che quello che mi ricordo di più e con più emozione, non sono i regali, i piatti ed i bicchieri di plastica scelti ad hoc, o il vestito che indossavo.

Ma la partecipazione familiare.

Mia mamma cominciava a preparare le cose praticamente a gennaio. Aveva una cartellina grigia con la cerniera, che di mese in mese diventava sempre più gonfia e da cui spuntavano di tanto in tanto fogli colorati e cartoncini ritagliati. E gente, non era come oggi che scrivi su Google “festa bimba 8 anni” e ti escono fuori pure i pop corn già pronti. Negli anni ’80 non c’era internet, non c’erano pc e stampanti (per lo meno in casa mia) ed ogni cosa veniva trovata nella mente di mia mamma, in quella delle sue amiche, o in qualche giornale. Il lavoro era così tanto, che Io non sbirciavo mai per non rovinarmi la sorpresa ed arrivavo al giorno fatidico, stremata dalla curiosità.

Mio papà era il cameraman ufficiale. E non c’erano gli smartphone. C’erano degli aggeggi giganti e pesantissimi che lui teneva per tutto il tempo della festa. Roba che i segni rossi sulla spalla, rimanevano per tre giorni.

Mia nonna arrivava alle 15.00. Era il coltello più veloce del West per spalmare panini e focaccine.

Alla stessa ora arrivava la mia migliore amica, che doveva avere un posto d’onore e quindi, due ore erano solo per lei.

Alle 17 cominciava la festa con 84950 invitati dagli 0 ai 99 anni.

E così, finalmente, la cartellina grigia veniva aperta.

Indovinelli, caccia al tesoro, giochi di abilità, medaglie e premi. I giochi erano a squadre e tre-quattro mamme, facevano i capitani.

La mia, microfono alla mano, era la conduttrice-animatrice.

Il 33 giri dei puffi pompava abbestia. Altro che Rovazzi.

Bimbi e adulti ridevano, urlavano, correvano e mangiavano.

Tra musiche, balli e giochi, arrivavamo alle otto passate. E credo che la frase delle mamme che invecchiano, potrebbe essere dipesa molto da quelle giornate!

Oggi, una trentina di anni dopo, sono qui a parlarne. Vuol dire proprio che sono stati una cosa meravigliosa.

E intanto che mi godo l’attesa dell’ennesimo compleanno migliore del presente, non vedo l’ora di avere la possibilità di costruire anche io, dei meravigliosi ricordi di compleanno per i miei bimbi.

 

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